Non è più la solita chiacchiera da bar per riempire il tempo di un caffè. È la realtà di un mondo che si surriscalda. In questi giorni di fine giugno stiamo vivendo un’ondata di calore lunga e intensa. Dallo zero termico oltre i 5000 metri, al Mediterraneo che registra +5 gradi, tutto passa – inevitabilmente – per le nostre città. Un fenomeno ormai sempre più duro e ricorrente, preoccupante non solo per le temperature massime da prima pagina, ma soprattutto per le infinite notti tropicali che minano il nostro benessere e la nostra salute.
Le alte temperature notturne impediscono il recupero fisico e psicologico, colpiscono i soggetti più fragili e ci restituiscono un senso di precarietà climatica sempre più tangibile.
Sappiamo bene quanto giustizia climatica e salute pubblica siano strettamente intrecciate. Come l’estate del 2022 (dal 30 maggio al 4 settembre) dove in Italia ci sono stati circa 18 010 morti correlate al caldo, con un intervallo di confidenza 95 %. In termini relativi, questo corrisponde a 295 morti per milione di abitanti (95 % CI: 226–364), il tasso di mortalità più alto tra i paesi europei, seguito da Grecia, Spagna e Portogallo.
Di fronte a questo scenario, non possiamo esimerci dal porci una domanda cruciale: che fare? Come attivarci per evitare non solo il collasso climatico, ma anche quello umano?
Non siamo così ingenue da credere che basti una semplice mappatura dei cosiddetti “rifugi climatici” per salvarci dalle isole di calore. A Bologna li conosciamo bene: sono spazi pubblici e piccoli parchi verdi che le persone frequentano da sempre per trovare un po’ di refrigerio, ben prima che venissero etichettati come tali. Come nel 2025 lo sono di fatto tutti i centri commerciali, dove tante persone trovano fresco e spazio di socialità.
Ma davvero vogliamo fermarci qui?
Limitarsi a elencare ciò che già esiste rischia di diventare solo una vetrina di finto adattamento climatico, utile più all’immagine che alla sostanza.
Il punto non è mappare il presente, ma aumentare e ampliare questi spazi di benessere reale, accessibili, verdi, sicuri anche di notte, e dotati di servizi essenziali veri. Pensiamo all’assenza di un verde diffuso, strutturale, pensato non come decorazione ma come infrastruttura di salute pubblica e giustizia climatica che travolga la città.
A cosa serve una mappatura dell’oggi se non si fanno opere di cambiamento radicale? Basterebbe chiedersi: cosa succede quando questi spazi sono chiusi? Se sono insufficienti? Cosa si offre durante notti tropicali? E soprattutto: come sono stati individuati gli hotspot di calore e quali sono i quartieri che necessitano davvero di interventi?
Per noi, la base è sempre l’analisi dei dati: satellitari, open data, sensoristica avanzata. Strumenti indispensabili per comprendere. Ma poi arriva la vera sfida: agire.
Bologna ha bisogno di verde, tanto verde. Non due piantine qua e là, ma un piano strutturale per rinaturalizzare la città. Non ha bisogno di nuove colate di cemento e asfalto come il Passante. E non ha bisogno di continui cambi di destinazione d’uso del suolo in nome del dio cemento come tutta la cementificazione passata e futura a Pescarola. Solo quando vedremo un impegno concreto verso queste scelte, potremo iniziare a credere anche alla narrazione dei “rifugi climatici” e della “città verde”.
Quando vedremo un trasporto pubblico accessibile e gratuito e non biglietti dei bus aumentati saremo felici. Lo saremo quando gli impatti ambientali, sociali e del rumore del mostro aeroportuale in città verranno realmente ridotti e non nominando gli stessi nomi dell’Aeroporto Marconi che l’hanno causato.
Solo quando avremo un numero di strutture adeguate ad accogliere le vulnerabilità colpite dagli eventi climatici estremi, potremo dirci soddisfattə per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Il caldo, infatti, è anche un fatto sanitario. E su questo il Comune di Bologna e l’AUSL non possono permettersi timidezze. Urge aggiornare i piani locali di prevenzione e risposta, aumentare la disponibilità di spazi refrigerati pubblici aperti anche di notte, definire protocolli sociosanitari concreti, attivare campagne informative e mettere in campo una reale presa in carico degli effetti del caldo sulla salute pubblica. Il caldo uccide. E chi ha responsabilità politica e istituzionale deve agire, non osservare.
Vogliamo un’intelligenza artificiale municipalista che lavori per noi, non per profitti privati o strategie opache. Che ci aiuti a leggere il presente, a prevenire, a costruire risposte vere per il futuro di questa città.
Vogliamo dati aperti e accessibili, perché non possiamo affrontare l’emergenza climatica con mappe chiuse in un cassetto o con stazioni abbandonate e senza dati come quella del Marconi.
Siamo scienziatə, sanitariə, ricercatrici, dottorandə. Ma siamo anche attiviste. Mettiamo a disposizione i nostri studi per trasformare le città. Perché il tempo del parlare è finito. È ora di fare e pretendiamo venga fatto.
Per questo il 10 luglio pedaleremo insieme.
Con una biciclettata climattivista che parte da Làbas alle 19.30, attraverseremo la città con sensori meteo-climatici, per studiare insieme l’isola di calore, il microclima urbano, per riappropriarci collettivamente della tecnologia tutte e tutti.
Sciame di bici, stormi di droni. Siateci.