Il diario di viaggio che oggi si conclude ci é servito per avvicinarci ad un territorio per noi quasi inesplorato. Abbiamo disertato la geopolitica da salotto per praticare una militanza internazionalista. Abbiamo “fraternizzato – sorernizzato” con le/i compagn* incontrat* – cioè abbiamo provato a costruire delle relazioni biopolitiche con soggetti che alcuni considerano solo come pedine nello scacchiere globale.
Stamattina abbiamo incontrato Denys. Lui fa politica da una quindicina di anni ed é nella redazione di commons.ua , giornale interconnesso con molti dei gruppi che abbiamo conosciuto e con dinamiche più accademiche. Descrive la connessione tra i gruppi attivi come una sorta di cerchi interdipendenti che si supportano su incroci variabili di alleanze e connessioni.
Alle domande che gli facciamo Denys non si accontenta di dare risposte semplici e univoche. Ci parla dei cicli del capitalismo (liberale e oligarchico) e delle lotte che hanno attraversato il paese circa ogni 5 anni. Crisi-movimento-crisi. Il ciclo è stato interrotto però dallo scoppio della pandemia, prima, e dalla guerra, poi. Oggi, dopo essere sopravvissut* ad un anno di guerra dice che le persone hanno piu tempo per pensare ai problemi del paese, oltre che alla propria difesa. Nell’ultimo anno, a causa della guerra e delle leggi marziali che impediscono ai sindacati di organizzare manifestazioni pubbliche, il governo ucraino è riuscito a far passare una legge neoliberista per l’ulteriore deregolamentazione e precarizzazione del lavoro. Ma ci racconta che alcune categorie essenziali continuano ad organizzarsi nonostante gli evidenti impedimenti. I/le ferrovier*, consapevoli di essere essenziali nella gestione logistica del paese per questo non adottano la pratica dello sciopero, ma si stanno interrogando su come esercitare pressioni sulla politica in maniera alternativa. Lo stesso vale per i/le trasportatori/trici, quell* che nei primi giorni di invasione su larga scala mettevano di traverso i bus nelle strade provinciali fuori dalle città per impedire l’avanzata dei tank russi. I/le lavoratori/trici nel sistema sanitario – in particolare infermier*- continuano a condurre ampie proteste attraverso il sindacato indipendente creato durante la pandemia. Questi e altri esempi dimostrano come in Ucraina la lotta di classe sul lavoro non sia stata fermata dalla guerra e, anzi, stia attraversando un processo di rinnovamento e reinvezione delle proprie pratiche nella materialità della situazione presente.
Denys si chiede se il caso ucraino possa rappresentare un’occasione per l’Europa.
Questa domanda ce la portiamo dietro, sperando in futuro di trovare risposte comuni. Cita Zelens’kyj quando dice che l’Europa è un significante vuoto e che è in corso una contesa di tutte le parti per riempirlo. l’Europa è un “multiverse of national spaces”, dice, ma è anche la“european europe” dove le persone e i conflitti sociali, ambientali, femministi possono dialogare per trovare traiettorie comuni, partendo dal locale e per andare su una scala più larga. Alla domanda sulle criticità dell’ingresso in una UE istituzionalmente neo-liberale risponde che l’Ucraina è già un paese con il neo-liberalismo, “tanto vale stare dentro l’UE”. È su questi presupposti che ci invita a sostenere la campagna che Sotsialny Ruch ha fatto partire sull’estinzione del debito di guerra ucraino.
La sera, prima di partire, incontriamo in un grande centro commerciale Julia e Alice di Femsolution . Siamo fortunati perché l’incontro non era previsto. È una realtà trans-femminista che prima della guerra organizzava la marcia dell’8 marzo. L’8 marzo e il primo maggio in Ucraina sono giorni di festa fin dai tempi sovietici. Ma proprio per questo vengono attaccati dal governo e dai gruppi di donne liberali. Ci raccontano di una ONG con cui si sono scontrate varie volte e che negli ultimi anni ha tentato di depoliticizzare l’8 marzo, organizzando una “Marcia delle Donne” parallela alla feminist march. Ora, questa ONG è favorevole alla proposta del governo di togliere il giorno di festa, mentre Femsolution rivendica l’importanza della festività per essere libere dal lavoro produttivo e riproduttivo ma anche come giorno di lotta.
Da quando la guerra è scoppiata, FS distribuisce aiuti a donne e soggettività non-binary e, nel farlo, cerca di politicizzare l’azione di supporto umanitario. Hanno creato una fanzine con giochi anti-stress per quando ci sono blackout e bombardamenti. Quest’anno, vista la legge marziale e la quasi impossibilità a organizzare manifestazioni di massa, l’8 marzo hanno deciso di fare una festa in cui hanno invitato artist*, DJs, drag qeens e tatuatrici del mondo transfemminista e non-binary della città. Julia ci dice che la sua più grande conquista è stata quella di creare uno spazio sicuro che tutte le soggettività potessero attraversare e vivere liberamente. I soldi raccolti, inoltre, sono serviti per comprare attrezzature ad una pilota di droni trans al fronte.
Dopo due ore di chiacchiere ci rendiamo conto dell’ora. E’ tardi, dobbiamo salutare Julia e ALice e raggiungere la stazione. La lunga via del ritorno inizia con un treno notturno da Kyiv e, come all’andata, viaggiamo insieme a donne, bambin*, anzian* ormai in continuo movimento tra la loro casa in Ucraina e gli allogi provvisori che li accolgono nel resto dell’Europa.
Il viaggio di ritorno durerà due giorni. Sembra un tempo giusto per digerire tutte le storie, volti, pensieri e sensazioni assorbite in questa settimana. Sicuramente il nostro punto di vista è parziale e parte da limiti oggettivi e soggettivi. I territori e le organizzazioni incontrate in questi giorni non stavano nella nostra agenda politica fino a pochi mesi fa. Tuttavia, non possiamo evitare la domanda del perché soggettività anarchiche, socialiste, sindacali, femministe, lgbtqi+ decidano di non “disertare” la guerra e diventino parte attiva delle resistenza all’invasione, pur essendo consce di essere minoranza oggi nella società ucraina. In divers* ci hanno risposto che lo fanno per affermare e preservare il proprio diritto di scelta, consapevoli della difficoltà di questa impresa. Su una cosa molt* concordano: la società ucraina dal 1991 ad oggi è scesa ciclicamente nelle piazze cercando di non farsi imporre l’agenda politica dalle diverse forze al potere. Questa vitalità dà loro una speranza. Starà a noi essere determinant* a far emergere le nostre lotte nel campo di battaglia che c’è già e, dicono, in quello che sarà.
P.S.
Siamo sulla linea del confine con la Polonia quando arriva il messaggio di Kateryna, la nostra ospite a L’viv di Feminist Workshop.
Just as soon as you left, we have an air raid alert 🙂
You were so lucky not to experienced it during almost a week of beeing in Ukraine!