Durante questi giorni in Serbia abbiamo avuto modo di parlare con molte persone: studentə, ricercatorə e non solo. Abbiamo sentito una grande energia provenire da vasti settori della società. La speranza è riuscire a far cadere il castello di carte di corruzione del paese facendo sì che le istituzioni democratiche inizino a fare il loro lavoro.
Le dimissioni del primo ministro sono quindi una chiara conseguenza delle proteste, eppure non erano mai state la principale rivendicazione delle piazze. Nell’immediato questo fatto non ha creato grandi scompigli nei protagonisti del movimento che abbiamo conosciuto.
Fino ad oggi le loro richieste erano di scoprire tutta la documentazione legata alla tragedia di Novi Sad; l’amnistia per chi è finito sotto processo nel corso delle mobilitazioni; l’avvio di processi giudiziari contro i responsabili delle violenze durante le manifestazioni; l’aumento dei fondi per l’istruzione e l’università. Azioni che in teoria non erano di sua diretta competenza. Fare queste azioni spetterebbe ad altre parti della macchina statale. La magistratura viene denunciata come non indipendente e il ministero delle infrastrutture continua a non rendere nota la documentazione, mentre il ministero dell’educazione è ancora fermo nell’elargire i fondi. A coronare questa situazione i principali media, che avrebbero un ruolo informativo essenziale, sono direttamente manovrati dal Governo. Cosa succederà dopo le dimissioni del primo ministro è troppo presto per dirlo.
La cosa che colpisce di più è sicuramente la carica della componente studentesca che, se prima era vista dall’opinione pubblica come pigra e passiva – tipico stereotipo anche nostrano – adesso è diventata il punto di riferimento per una società stanca della corruzione e dell’immobilismo delle istituzioni, e di un partito populista al governo da 13 anni e di una opposizione che anche di fronte a uno scandalo come quello di Novi Sad ha preferito rimanere in silenzio.
Pubblichiamo la testimonianza di una studentessa dell’Università di Belgrado che preferisce rimanere anonima; una decisione presa durante le assemblee plenarie con le quali lə studentə si organizzano per tutto, anche su come relazionarsi e raccontarsi all’opinione pubblica.
Avremo il tempo di approfondire ulteriormente il modo in cui questo movimento, nonostante le criticità, sta mettendo in campo un’interessantissima esperienza di autorganizzazione.
INTERVISTA e TRASCRIZIONE IN ITALIANO
-Come sono iniziate le proteste?
Le proteste sono iniziate a causa dell’assurdo incidente avvenuto a Novi Sad, la seconda città più grande della Serbia, quando 15 persone che si trovavano alla stazione ferroviaria hanno perso la vita perché la tettoia della stazione è crollata su di loro. Per alcune settimane, il popolo serbo ha cercato di protestare silenziosamente per strada, commemorando coloro che sono morti, bloccando la strada e rimanendo per 15 minuti in silenzio.
Ma il 22 novembre, quando gli studenti della Facoltà di Arti Drammatiche hanno prestato giuramento, sono stati picchiati da incappucciati pagati dallo Stato. Così sono iniziati i blocchi dell’università in solidarietà con coloro che sono stati picchiati, che purtroppo non sono stati gli unici a subire violenza. Negli ultimi due mesi, ci sono state molte situazioni in cui auto hanno investito alcuni dei nostri studenti e siamo stati testimoni di come questo sistema non funzioni. Abbiamo quattro rivendicazioni:
La prima è che tutta la documentazione relativa alla ricostruzione della stazione ferroviaria sia stata resa pubblica.
La seconda è che tutti i prigionieri politici devono essere rilasciati.
La terza è che tutti coloro che hanno picchiato gli studenti devono essere perseguiti.
La quarta riguarda il finanziamento delle università di Belgrado.
-Quali sono le prospettive di questa lotta?
Le prospettive e gli obiettivi della lotta che stiamo conducendo in questo momento sono che il sistema cominci finalmente a funzionare. Siamo stati testimoni di come le istituzioni in Serbia non stiano facendo il loro lavoro. Ci sono leggi da seguire e in realtà le leggi sono fatte per essere seguite da tutti, ma per qualche motivo non lo sono. Con questo vogliamo trasmettere il messaggio che, a prescindere dalla posizione che si occupa, le leggi sono lì per essere seguite e tutti devono seguirle.
Vogliamo vivere in un Paese in cui quando succede qualcosa di terribile come questo, hanno la risposta, sono disposti a darla alla gente, ma in questo momento siamo testimoni del fatto che non è così in Serbia. E vogliamo che quando usciremo da questa battaglia, perché di battaglia si tratta, la società in cui vivremo sia quella responsabile nei confronti della gente e che dia risposte ai suoi cittadini.