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Materialismo cosmico – La fisica del cosmo

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Nel primo dialogo con l’astrofisico Luca Tornatore abbiamo affrontato alcune iniziali riflessioni su come la conoscenza, i saperi debbano essere un campo di battaglia nel presente, imprescindibile per immaginare e costruire un futuro diverso. 

Nel secondo dialogo ci tuffiamo nell’universo, nello spazio. 

Abbiamo diviso il dialogo in due parti di cui vi proponiamo gli audio integrali e due brevi testi. Per chi volesse gli audio sono anche su Spotify nel nuovo podcast: Materialismo cosmico.

Vi consigliamo di ascoltare gli audio, fare un’esperienza immersiva e soprattutto immaginare quello di cui si sta parlando. Nello scritto abbiamo messo solo alcune tracce. D’altronde e per fortuna parlare e scrivere sono due espressioni diverse. 

Buon ascolto.


Siamo precisamente ignoranti 

In generale penso che sia importante farsi delle grandi domande, accumulare elementi di conoscenza che costituiscano una mappa complessiva che aiuti ad orientarci, senza pretendere per questo di diventare esperti di ogni cosa. Una delle domande più grandi che ci possiamo fare è ovviamente: che cos’è l’universo? Avere un’idea, per quanto semplice, senza dettagli e tecnicismi eccessivi, dell’universo ci mette in grado, quantomeno, di capire dove si sta svolgendo la nostra vita da qualche miliardo di anni. L’universo è una cosa che noi conosciamo contemporaneamente molto bene e quasi per niente. Siamo molto precisi nella nostra ignoranza. 

Un elemento generale da tener presente è che ci sono due  concetti differenti che possono essere tenuti insieme per quantificare la conoscenza di un dato: precisione e accuratezza. Ad esempio, io posso dire che la temperatura in questa stanza è di 17.3°C, più o meno 0.1°C, quindi sono molto preciso, però magari sto completamente sbagliando perché in realtà ci sono 22°C. Accuratezza e precisione sono quindi due cose diverse. Una predizione teorica può essere estremamente precisa e insieme piuttosto inaccurata. Non è il caso di farsi impressionare eccessivamente da un’apparente precisione, ma si tratta di tenere conto se ciò che ci viene detto si inserisce in modo logico e coerente in un quadro complessivo.

La nostra conoscenza dell’universo è molto precisa e probabilmente molto accurata, però siamo molto accurati rispetto a qualcosa che non conosciamo bene. Come possiamo essere estremamente precisi, ma anche molto ignoranti? Abbiamo un modello, sviluppato negli ultimi cento anni, che ci permette di avere una descrizione dell’universo estremamente precisa. Perché allora dire che siamo anche molto ignoranti? Perché quello che sappiamo è che l’universo è fatto per meno del 5% (circa il 4,5%) di atomi, della materia che conosciamo, di cui siamo fatti, che ci circonda e su cui agiamo, per il 25% di qualcosa che chiamiamo materia oscura, dark matter e per il 70% di qualcosa che chiamiamo energia oscura, dark energy. In poche parole sappiamo parlare abbastanza bene solo di meno del 5 % dell’universo. Il restante 95% del nostro universo è fatto di qualcosa su cui abbiamo idee un po’ confuse. Abbiamo un sacco di teorie, ma alcune sono state dismesse perché sono state falsificate e altre non sono ancora state verificate. 

Possiamo predire

Un altro aspetto da acquisire, molto interessante dal punto di vista della cultura scientifica, è che una teoria per essere scientifica, nel senso proprio del termine, deve poter fare delle predizioni. Ognuno può costruire delle teorie fantastiche (spesso letteralmente) su qualsiasi cosa. Però, da una parte devono essere plausibili dal punto di vista delle conoscenze che già possediamo e che abbiamo verificato, dall’altra la teoria deve anche essere in grado di produrre una predizione. La mia teoria, per esempio, è che in questo momento parte di chi ascolta è a Bologna. Bene, come faccio? Produco un mio osservabile e dico: se tu adesso esci dalla stanza e fai una foto vedi Bologna. E’ una sciocchezza in sé, chiaro, è solo l’esempio di un possibile modo di verifica. 

Come faccio a falsificare la mia teoria? Devo trovare un modo, la teoria deve produrre quello che si chiama un osservabile, cioè una quantità che posso misurare con un esperimento o un’osservazione. In astrofisica e cosmologia parliamo di osservazione, non tanto di esperimento. Ad esempio, la mia teoria predice che l’universo è stazionario. Cosa significa? Se io misuro la velocità delle galassie a svariate distanze da me, non troverò nessuna sistematica, non ci sarà una direzione preferenziale. Invece, osservando trovo che le galassie più distanti si stanno allontanando sistematicamente, che ma man mano che vado più distante diventa nettamente dominante il fatto che le galassie più distanti si stanno allontanando e più distanti sono più velocemente si allontanano. Ecco che, allora, l’osservabile dice che la mia teoria sullo stato stazionario è falsa. 

Immersi nel dark

Dicevamo poco fa che per il 95% non sappiamo di che cosa è fatto l’universo. Non abbiamo ancora verificato nessuna teoria a proposito di che cosa sia la materia oscura e tantomeno cosa sia l’energia oscura, però sappiamo che sono lì. Cosa significa che sappiamo che sono lì? Lo sappiamo perché vediamo che l’universo si comporta come se ci fosse qualcosa, a cui abbiamo dato il nome di dark matter e dark energy, che produce gli effetti che osserviamo. 

Come sono nate queste idee? 

Non ho nominato a caso la faccenda delle galassie che si allontanano da noi, perché è esattamente una delle prime misure cosmologiche, quando ancora la cosmologia non esisteva come scienza in sé. Fino agli anni ‘50 si è dibattuto se la cosmologia fosse una scienza o no, per il fatto che non sono possibili esperimenti: abbiamo un solo universo e soprattutto non si possono fare esperimenti su galassie distantissime, dove forse non si arriverà mai. 

Siamo speciali? No!

Negli anni ‘20 un grande astronomo Edwin Hubble si accorse che le galassie distanti si allontanavano sistematicamente da noi e la loro velocità cresceva con la distanza. Ma allora la prima cosa che ci viene in mente è chiederci: siamo un punto speciale dell’universo? Detto in maniera ironica se tutte le galassie si allontanano da noi non sarà certo perché non ci siamo fatti la doccia, ovviamente non è così. Questo è un concetto scientifico interessante da comprendere perché questa affermazione (quella a proposito del punto speciale, non quella sulla doccia) introdurrebbe un elemento che necessita di una spiegazione: perché io sono un punto speciale? La cosa più ragionevole è assumere che l’universo, fino a prova contraria, è in realtà isotropo e omogeneo. Questo è un’assunzione alla base della cosmologia (ovviamente sempre suscettibile, a ragion veduta, di essere abbandonata se nuovi fatti osservativi lo richiedessero). Omogeneo significa che se io mi metto in un qualsiasi punto vedo sostanzialmente un universo che ha le stesse proprietà, ovviamente con delle diversità locali. E’ un po’ come se si va in una qualsiasi città europea, l’intorno è un po’ diverso ma culturalmente di fondo è sostanzialmente omogeneo. Allargando un po’ il campo possiamo dire lo stesso in realtà di qualsiasi regione umana della terra: siamo tutti esseri umani e dovunque siamo è perfettamente omogeneo tutto quello che conosciamo degli esseri umani. L’universo è anche isotropo ovvero, in qualsiasi direzione io guardi, vedo lo stesso universo, non c’è una direzione privilegiata. 

L’universo e il palloncino

Torniamo al fatto che tutto l’universo si sta espandendo, è un fatto cosmologico che conosciamo con certezza dalle prime osservazioni di Hubble. Cosa significa che l’universo si espande? La prima domanda ovviamente che viene in mente a chiunque – ancora a me ogni tanto e penso a chiunque dei miei colleghi – è: in che cosa si espande l’universo? 

Tutti abbiamo l’idea di un palloncino che si espande in una stanza, cioè in uno spazio che c’è, che c’è sempre stato e ci sarà. Le cose qui si fanno per certi versi un po’ filosofiche. Non è che l’universo si espande in qualcosa: l’universo espande sé stesso. E’ lo spazio che si espande. Una delle grandi conquiste della teoria della relatività, che sta alla base della cosmologia moderna, è che non esiste lo spazio assoluto in sé. Lo spazio è sempre una relazione tra corpi. Da un punto di vista della relatività lo spazio non è altro che quello che c’è tra i corpi, è quello che si sta espandendo, non esiste qualche cosa in cui si espande. 

Siccome abbiamo difficoltà a pensare in quattro dimensioni, usiamo una immagine semplice: supponiamo di vivere su un palloncino di gomma (tipo quelli che si gonfiano), espandibile. Siamo esseri in due dimensioni, la terza dimensione è il tempo. Quando gonfiate il palloncino lui aumenta radialmente la sua dimensione nel tempo, ma lo spazio è ciò che è tra di noi e quindi si “stira”. Se voi disegnate due puntini sul classico palloncino delle feste prima di gonfiarlo e decidete che la distanza tra i due puntini è il centimetro, vorrà dire che in quel mondo un centimetro è lo spazio che avete disegnato. Quando gonfiate il palloncino vedete che la distanza tra i due punti è aumentata, però i due puntini non lo sanno, per loro lo spazio che li separa è sempre un centimetro, perché loro vivono lì. Questo sta succedendo al nostro universo. 

Universo in espansione

Riassumiamo: il nostro universo è fatto di circa il 5% di atomi, cioè di materia che conosciamo, per circa il 25% di materia che non conosciamo e chiamiamo materia oscura e per circa il 70% di qualcosa che chiamiamo energia oscura. Queste cose sappiamo che ci sono per l’effetto che hanno. 

Perché mai l’universo si espande? Cosa determina la sua espansione? Torniamo un po’ alla storia. Mentre Hubble misurava l’espansione dell’universo, Einstein si accorse che le sue equazioni della relatività generale predicevano un universo non stazionario, che avrebbe dovuto o espandersi o contrarsi. Questo lo disturbava, e inserì un termine aggiuntivo nelle sue equazioni, che chiamò lambda, una costante cosmologica che serviva invece a garantire uno stato stazionario. Intuitivamente, per lui, il fatto che l’universo si espandeva oppure doveva fare un big crunch non aveva nessun senso e quindi ci ha messo una correzione. Einstein non conosceva il lavoro di Hubble perché la comunicazione allora era molto diversa, più difficile. In seguito ha riconosciuto questa correzione come il suo più grande errore. 

Cado? Non cado!

Mentre succedeva tutto questo, un altro astronomo, Zwicky, si accorse, osservando per la prima volta gli ammassi di galassie, che le galassie dentro a questi enormi gruppi di galassie erano troppo veloci. Cosa significa? Quando mettete un satellite in orbita, che sia la Luna o uno di quelli di Musk o uno di quelli scientifici, perché non cade sulla Terra? Sappiamo che se tiro qualcosa in aria poi cade a terra. Perché invece quell’oggetto che sta in orbita intorno alla terra non cade? Perché la terra che orbita attorno al sole, non ci casca dentro? 

In realtà sta cadendo e questa è una delle prime grandi intuizioni di Newton. Fra parentesi, il lavoro di Newton è forse il primo grande lavoro di generalizzazione, un salto intellettuale pazzesco: una singola equazione che descrive sia come un corpo scende su un piano inclinato sia come un pianeta orbita intorno a una stella. Brividi.

Quell’oggetto sta cadendo, però mentre cade ha anche una sufficiente velocità tangenziale per cui si sposta altrettanto di quando cade, cioè altrettanto da mantenersi alla stessa distanza dal corpo verso cui cade. Un oggetto che è in orbita sta continuando a cadere, ma ha una velocità tangenziale per cui si sposta in là tanto quanto è caduto e così rimane in orbita. Se nulla gli toglie velocità (tipo l’attrito dell’atmosfera) continuerà a stare in orbita, perché conserva quello che si chiama momento angolare (anche la quantità di moto circolare si conserva, non solo l’energia cinetica associata al moto). In una galassia le stelle stanno ruotando intorno a un centro, sia in una galassia a spirale come la nostra che sostanzialmente è piatta sia in una galassia ellittica che assomiglia più a una palla di stelle. Le stelle dentro la galassia non “cadono” dentro il centro potenziale della galassia, attratte le une dalle altre, perché hanno un’energia cinetica, una specie di “pressione”.  

E’ possibile calcolare qual è l’energia media che serve per sostenere una galassia: se ce n’è troppo poca le stelle man mano “cadono” verso il centro (si dice che “collassano”), se ce n’è troppa evaporano, letteralmente. Zwicky riuscì a calcolare la massa apparente, visibile degli ammassi di galassie dalla luminosità delle galassie.  Da quella massa si può calcolare l’energia gravitazionale di quell’insieme di oggetti e quindi qual è l’energia cinetica che ci si aspetta. Si accorse che l’energia cinetica era di gran lunga maggiore di quella che sarebbe servita. Questo vuol dire che c’era della massa in più in gioco che non si vedeva: era oscura, dark

Questa scoperta venne un po’ messa nel cassetto fino agli anni 70, in cui Vera Rubin, una grande astronoma, si accorse sostanzialmente della stessa cosa rispetto alle galassie. Per farla breve, il punto è che la dark matter ci serve: non sappiamo cosa è e di cosa è fatta, ma sappiamo che è là. 


Una fotografia 

Una delle osservazioni fondamentali, tra le più eccitanti, penso, della storia dell’umanità è una fotografia. Una fotografia che risale a quasi 14 miliardi di anni fa. In realtà 13,7 miliardi di anni, per la precisione. Questa è l’età del nostro universo: quasi 14 miliardi di anni. Il nostro sistema solare ha 5 miliardi di anni, per cui è abbastanza recente. 

La fotografia che menzionavo è quella dell’universo poco dopo il Big Bang. Se l’universo si sta espandendo e noi rovesciamo la freccia del tempo, l’universo andrà a ridursi sempre di più, fino ad arrivare al Big Bang. Pensiamoci. Tornando al famoso palloncino se lo gonfiate e poi fate il reverse play il palloncino ritornerà alla sua misura iniziale, quella che aveva prima di essere gonfiato. Questo è quello che predicono le equazioni, ed è un grande punto di domanda. Noi sappiamo pensare cosa succede fino a un certo punto, dopo abbiamo delle bellissime teorie su cui non impiegherò del tempo perché la cosa diventa complicata. Abbiamo delle teorie che hanno delle predizioni che sono in fantastico accordo con quello che vediamo, però non sono completamente soddisfacenti, perché non comprendiamo appieno perché è stato così. Teorie che arrivano fino a un certo punto. Non arriviamo davvero a comprendere che cos’è quello che chiamiamo il Big Bang. Questo è un punto di ignoranza non da poco: diciamo che “qualcosa” che chiamiamo Big Bang, che si comporta come un Big Bang, è necessario per spiegare quello che vediamo ed è coerente con ciò che sappiamo. La fotografia è di circa 400 mila anni dopo il Big Bang ed è il momento in cui l’universo si è raffreddato abbastanza. 

Il nostro universo quando è esploso era enormemente denso e caldo a livelli inimmaginabili, difficili da descrivere senza numeri. A un certo punto espandendosi in maniera estremamente veloce, in una fase iniziale che si chiama inflazione, si raffredda. Quello che succede è che c’è un momento, che diciamo ultimo scattering, l’ultima volta sostanzialmente che i fotoni non sono liberi ma costretti all’interazione con la materia e poi se ne vanno e arrivano fino a noi oggi. I fotoni, che ricordiamolo si comportano come un’onda, arrivano fino a noi però “stirati” rispetto a quando sono stati emessi. Torniamo per comodità al solito palloncino: se ci disegnate sopra un’onda, quando lo gonfiate la distanza tra i picchi e le valli dell’onda diventa maggiore. E’ quello che succede esattamente a un fotone. Vive nello spazio, lo spazio si sta stirando nell’espansione, il fotone si stira di conseguenza, la sua energia diminuisce, cioè passa, per capirci, dai raggi gamma ai raggi X e oltre, in poche parole quei fotoni li percepiamo oggi come onde radio. La fotografia è in onde radio. E’ quello che si chiama il fondo cosmico di microonde.  Questo segnale ci porta una quantità incredibile di informazioni dal Big Bang, una quantità veramente terrificante di informazioni. E’ una delle prove cosmologiche in assoluto principali, perché ci dice l’età dell’universo, la quantità di materia che c’è, le abbondanze che ci aspettiamo di avere di vari elementi sintetizzati nel big bang. Ci dice anche un’altra cosa molto importante. Diciamo che l’universo è omogeneo e isotropo. Se però ci guardiamo intorno non ci pare omogeneo: la stessa terra ci sembra non omogenea, se ci allontaniamo dalla terra c’è la luna, ci sono spazi immensi, 160 milioni di chilometri e si arriva al Sole, ci sono pianeti in mezzo. Insomma lo spazio non pare omogeneo e neanche isotropo perché se guardo in alto vedo stelle distanti se guardo a destra c’è Giove. In realtà, dovete pensare a uno zoom out, se aumentate la scala e vi allontanate di molto dalla nostra galassia – cosa molto difficile da immaginare come distanze – allora sì, l’universo diventa omogeneo e isotropo.

Da dove veniamo?

Ma allora come si sono formate le galassie, le strutture che conosciamo, noi stessi? All’inizio ci sono all’opera alcuni meccanismi casuali ed anche questo è una cosa che ci viene portata da questa prima fondamentale immagine dell’universo oltre che da tante altre osservazioni. Dall’immagine vediamo che ci sono delle minuscole fluttuazioni, qualcosa come una parte su centomila. Il segnale che abbiamo nella fotografia è estremamente piccolo, molto omogeneo: il fondo  cosmico di microonde è la cosa più omogenea che abbiamo mai visto in natura. Però le fluttuazioni di densità, estremamente piccole, in quattordici miliardi di anni sono cresciute per colpa della gravità, come espressa dalla relatività generale. Pian piano sono diventati i primi oggetti molto piccoli, i primi aloni con stelle, e per via “gerarchica” gli oggetti piccoli poi si sono fusi per costruire oggetti via via più grandi. Galassie si fondono con altre galassie, che poi si raggruppano in ammassi di galassie. Ammassi di galassie che adesso stanno cominciando ad avvicinarsi…. 

La natura dell’universo

L’’universo è fortemente omogeneo e isotropo su grandissima scala. Contemporaneamente su scala molto più piccola è costituito in maniera gerarchica dalle strutture che sono quelle che oggi guardiamo. E’ fatto per la maggior parte, il 95%, di cose che non conosciamo. E capire cos’è questo 95% è una enorme pazzesca emozionante sfida.