Questa proposta nasce dalla consapevolezza che, nel prossimo futuro, a Bologna (e tutta l’area metropolitana) si giocherà una grande partita sulla riorganizzazione dei servizi territoriali e l’integrazione sociosanitaria, anche alla luce del riassetto delle Case di Quartiere con l’utilizzo delle risorse del PON Metro Plus 2021-2027. Una sfida che, tra le altre cose, metterà al centro la capacità di generare salute nei territori e di costruire risposte collettive ai bisogni della comunità.
Ed è esattamente il tema della salute che chiama la nostra attenzione e ci spinge a fare questo ragionamento.
Premessa: LSP un modello autonomo e interdipendente.
Oltre il Mutualismo e verso un nuovo modello di cura municipalista e sociale
Il Laboratorio Salute Popolare (LSP) è un cantiere aperto da oramai 6 anni ed in continuo sviluppo. Negli anni abbiamo studiato e praticato il cosiddetto mutualismo. Lo abbiamo fatto nei difficili anni della Sindemia e passo dopo passo siamo arrivati a strutturare degli hub di salute permanenti. Il Laboratorio Salute Popolare non è un luogo il cui focus è fornire prestazioni sanitarie ma un è piuttosto un presidio sociale articolato, un laboratorio permanente che genera cura e benessere.
L’Ambulatorio Odontoiatrico Popolare, lo Sportello Ginecologico, lo Sportello di supporto psicologico, la facilitazione nell’accesso ai servizi del SSR e i percorsi di benessere integrato non sono più semplici iniziative di mutuo aiuto: sono diventati spazi di cura, capaci di produrre salute in maniera stabile, autonoma e indipendente dalle logiche di mercato. Queste esperienze non si limitano a rispondere a un bisogno immediato, ma pongono nuove sfide ed interrogativi per la costruzione di un modello della cura e della salute municipalista.
Le nostre pratiche sono autonome e in assoluta non-competizione con il Servizio Sanitario, miriamo e ambiamo infatti ad allargare e rafforzare un lavoro in interdipendenza con il servizio pubblico e con i Municipi Sociali (MS). Un modello di salute capace di dimostrare che esistono delle valide alternative alla privatizzazione dilagante cui il servizio pubblico deve ahinoi sottostare sempre più frequentemente.
Lo ripetiamo: Il nostro obiettivo non è sostituire alcunché del SSN, ma tutt’al più evidenziarne le carenze e le storture che si sono generate negli ultimi decenni al fine di dimostrare che esistono modelli di azione e gestione differenti quando si tratta di prevenzione e territorialità, più efficaci e più vicini alle reali esigenze delle persone. Noi pretendiamo e ci battiamo affinché il servizio sanitario nazionale ritorni ad essere un esempio di cura ed universalismo, pilastro di democrazia e conoscenza. La promozione attiva del percorso denominato “Laboratorio Cittadino per la Salute Pubblica” in autunno è stato il primo passo e continueremo a lavorare anche in questa direzione.
Siamo fermamente convinti che il SSN debba essere rifinanziato e rafforzato, ma siamo anche consapevoli che il concetto di “pubblico” non debba necessariamente coincidere solo con “statale”. Il LSP e i Municipi Sociali quotidianamente provano a dimostrare che è necessario coraggio per costruire una salute territoriale che coniughi innovazione, prossimità e partecipazione attiva delle comunità.

La prossimità come pratica e non come slogan
Il Laboratorio Salute Popolare opera in un contesto sociale in cui proattivamente cerchiamo di sviluppare cura e benessere. Non teorizziamo modelli sanitari alternativi, ma proviamo costantemente a metterli concretamente alla prova, ispirandoci a esperienze di successo come quelle che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere (brasiliane, andalusi, ecc).
In questa prospettiva, i Municipi Sociali nel loro complesso possono essere considerati come delle vere e proprie “Case della Comunità”, un modello che non rimane un’astrazione, ma diventa un’infrastruttura concreta per la salute pubblica. Dei luoghi municipalisti e di comunità in cui un Ambulatorio Odontoiatrico lavora a stretto contatto con uno sportello legale, uno sportello sulla salute sessuale e riproduttiva immagina e costruisce pratiche insieme ad una scuola d’italiano per donne straniere, uno sportello psicologico si relaziona alla componente dei giovani studenti precari; un luogo in cui la comunità si riappropria del suo benessere.
Salute, risorse e scelte politiche coraggiose
È inutile negarlo, oggi la salute di prossimità è un settore altamente redditizio, sia in termini economici (soprattutto se lasciata in pasto al privato) che politici. Il dibattito pubblico però è ancora fossilizzato sulla narrazione della scarsità di fondi quasi ad imperitura scusa per la quale nulla di diverso si può fare. Forse però occorre provare a spostare il focus del problema e ragionare non solo di quanto denaro manca, ma come viene speso quello che c’è.
L’ormai trentennale “piagnisteo” sui fondi tagliati alla sanità in maniera verticale da tutti i governi di questo paese deve essere superato. Lo sappiamo che è così e, come è noto, siamo i primi ad essere convinti che ci si debba mobilitare in maniera ampia per chiedere il suo rifinanziamento ma siamo altresì convinti che si possa fin da subito decidere di allocare le attuali risorse disponibili in maniera più efficace e più coraggiosa. Scelte coraggiose che migliorerebbero l’accesso ai servizi sanitari e genererebbero anche risparmi nel lungo termine attraverso un modello di prevenzione e gestione comunitaria della salute.

Bologna è la regola!
Bologna, dunque, anche in questo caso ha l’opportunità di riaffermarsi come un laboratorio di buone pratiche, capace di dare, nel rapporto che esiste tra governo e autogoverno, un segnale forte di inversione di rotta, proponendo un modello innovativo e radicato nei territori che superi le logiche prestazionali e privatistiche promosse in ultimo dal governo Meloni in ambito sanitario.
Mentre a livello nazionale, infatti, si accelera verso un “modello lombardo” della sanità, centrato sul profitto e sull’esternalizzazione dei servizi, Bologna può dimostrare che esiste un’alternativa: un sistema sanitario e sociale che valorizza la prossimità, la partecipazione e la prevenzione, promuovendo un cambio di paradigma nel modo in cui si fa salute in questo Paese. In questa visione, la riorganizzazione dei servizi territoriali deve essere capace di attivare luoghi che siano dei veri e propri motori di trasformazione sociale e politica, capaci di generare innovazione e inclusione a partire dai territori.
Ed è infatti attraverso la lente del municipalismo che le CdQ, ma anche le cosiddette Case della Comunità (CdC) oppure le Microaree, possono diventare il punto di incontro tra cittadinanza attiva e istituzioni locali, un ponte che consente di sperimentare nuove forme di governance partecipativa. Questo significa però riconoscere a questi luoghi un ruolo politico e non considerarli dunque semplici spazi di aggregazione, ma immaginarli come presidi di autodeterminazione collettiva.
Lo scorso 9 dicembre, Ada Colau, ex sindaca di Barcellona e figura di riferimento per il municipalismo globale, durante un dibattito con la vicesindaca Emily Clancy tenutosi a Làbas, ci ha ricordato l’importanza di essere pragmatici nelle nostre azioni politiche. Noi dei MS ed in particolare noi del LSP siamo convinti che questa pragmatica visione integrata tra municipalismo e salute possa trovare un’applicazione concreta nelle CdQ di Bologna. Le esperienze di Barcellona dimostrano che è possibile costruire istituzioni radicate nei territori, capaci di rispondere ai bisogni locali con soluzioni condivise e trasformative.
Le Case di Quartiere come pilastri di una Salute Pubblica Municipalista
Partiamo ancora una volta dai Municipi Sociali: essi non sono semplicemente degli spazi fisici bensì autentici laboratori di democrazia conflittuale e di autogestione collettiva, in cui il concetto di municipalismo diventa strumento politico per trasformare i territori. Attraverso questa lettura infatti i MS si configurano come leve fondamentali per riappropriarsi della gestione delle risorse collettive connettendo le persone ai processi decisionali e restituendo potere alle comunità.
Dunque perché non pensare di estendere questo approccio anche in altri luoghi della città di Bologna?
In città sono già presenti esperienze di gestione che vedono nel LSP, e più in generale nei MS, dei modelli e pratiche valide da replicare, almeno in parte. Pensare dunque alle CdQ come presidi in cui la comunità può ricostruire relazioni e solidarietà, rispondendo collettivamente alle disuguaglianze e all’erosione dei diritti sociali. E più nello specifico, se parliamo di salute, in un contesto in cui il modello ospedalo-centrico mostra sempre di più i suoi limiti, le CdQ potrebbero proporsi come avamposti di una sanità che torna al servizio delle persone, mettendo al centro la vicinanza ai luoghi di vita e la partecipazione dal basso.

Ribaltare il paradigma: il territorio come cura
In questa prospettiva, la salute non è un bene individuale, ma un diritto collettivo che nasce dalla qualità delle relazioni sociali e ambientali.
La riorganizzazione dei servizi territoriali dunque, ispirandosi al paradigma del municipalismo, può generare spazi e luoghi che diventino il fulcro di un nuovo modello di welfare, superando la logica delle soluzioni calate dall’alto. Le pratiche di salute all’interno di questi spazi devono essere costruite insieme alle persone, attraverso processi orizzontali di partecipazione reale. Ciò significa andare oltre il semplice concetto di erogazione di servizi e promuovere attività che prevengano, educhino e rafforzino legami sociali solidi. Questi spazi non devono trasformarsi in “piccole cattedrali nel deserto” (dove per quelle “grandi” intendiamo precisamente le attuali Case della Comunità), né in strumenti di propaganda istituzionale, ma essere il risultato di un lavoro collettivo, radicato nei bisogni e nelle specificità dei territori.
Favorire l’autogoverno potrebbe favorire il moltiplicarsi di infrastrutture municipali capaci di generare strumenti utili per affrontare non solo i sintomi, ma anche le cause profonde delle disuguaglianze sanitarie: povertà, isolamento sociale e mancanza di accesso ai servizi. Attraverso la conoscenza dei bisogni del territorio, questi luoghi possono promuovere iniziative innovative come programmi di prevenzione, attività di educazione sanitaria e percorsi di sensibilizzazione sui determinanti sociali della salute. Questo approccio consente di ribaltare il paradigma attuale, orientando il servizio sanitario verso una reale prossimità e la co-creazione di soluzioni diventando, perché no, l’anello di congiunzione che attualmente manca tra le Case della Comunità e la comunità stessa.
Le CdQ, ad esempio, potrebbero diventare nodi fondamentali di una rete diffusa di infrastrutture civiche, non soggette alle dinamiche di centralizzazione burocratica, ma capaci di auto-organizzarsi e rispondere alle esigenze emergenti. La prossimità non si dice, si fa! E deve essere una prossimità non soltanto fisica, ma anche politica e sociale. Quindi ci piace immaginare che oltre ai MS possano nascere altri luoghi che incarnano l’idea di una politica che si costruisce dal basso, partendo dai bisogni concreti delle persone e dalle loro lotte quotidiane.
Verso una rete solidale e interconnessa che sia motore della trasformazione
I MS infatti da soli non bastano e qualche CdQ che adotta già “buone pratiche” nemmeno. La trasformazione sociale passa dalla creazione di una rete solida e resistente, un tessuto connettivo che collega i presidi sociali attivi e i territori, rompendo l’isolamento e costruendo solidarietà inter-quartieri. È necessario strutturare un sistema diffuso di partecipazione, che dia voce a chi viene costantemente escluso dai processi decisionali: lavoratori precari, disoccupati, persone senza dimora, minoranze. Nel contesto di una città che vuole abbracciare il municipalismo, ogni CdQ potrebbe così diventare un luogo in cui i cittadini decidono sulle priorità, sulle risorse e sulle strategie attraverso assemblee di quartiere e forme di autogoverno in cui il potere si decentralizza e si redistribuisce.
Il municipalismo però non si ferma ai confini di un quartiere o di una città, ma promuove la creazione di reti di solidarietà che superano le barriere amministrative e uniscono territori diversi in una lotta comune contro le disuguaglianze e la marginalizzazione. I MS, le CdQ e ci aggiungiamo anche le Microaree (un’idea anch’essa da riprendere completamente in mano per superare le palesi criticità attuali) se viste in questo modo, non sono entità isolate ma nodi interconnessi di un ecosistema più ampio, capace di coordinarsi per affrontare le grandi sfide del nostro tempo: dalla giustizia sociale alla crisi climatica, passando per il diritto alla salute.
Dal basso e per tutt3!
Ma perché questo accada davvero, i processi partecipativi devono essere autentici, condivisi e radicali. Non si può imporre dall’alto un modello che finge di ascoltare ma in realtà riproduce logiche gerarchiche. La comunità non può essere ridotta a “pubblico” o a mera “utenza”. Deve essere protagonista di un cambiamento che parte dai bisogni reali e non ha paura di affrontare conflitti e contraddizioni.
I MS possono essere un modello che aiuta ad immaginare altre strutture municipaliste che aggrediscano il terreno su cui si giocherà a breve, anche nella nostra città, questa battaglia cruciale: quella per una sanità pubblica, laica e veramente universale. Noi siamo a disposizione.
La Salute è comunità: viva, attiva e resistente.
