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Oltre l’inganno della meritocrazia

Appunti del doposcuola di Làbas

A seguito della vittoria alle elezioni del 25 settembre di Giorgia Meloni, quindi di Fratelli d’Italia, il 22 ottobre, è stato formato il nuovo governo con al Ministero dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Professore ordinario di Diritto privato e pubblico romano presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Torino, il neo-ministro risulta politicamente iscritto prima ad Alleanza Nazionale, poi a Pdl, Futuro e Libertà e infine alla Lega, divenendo nel settembre 2022 consigliere politico di Matteo Salvini.

Con il suo ministero, Valditara porta un’importante novità:  con questo governo, infatti, il suo dicastero prende il nome di “Ministero dell’Istruzione e del Merito” (DL 173, 11 novembre 2022, pubblicato su Gazzetta Ufficiale n.264, recante ‘’Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri’’). Si tratta in apparenza di un semplice cambio di denominazione, il quale però svela un’ideologia profondamente conservatrice e classista. È il primo segnale che, come ci hanno dimostrato già le vergognose dichiarazioni del ministro, mostra un modo di intendere la scuola e l’educazione che ben poco si adatta alla società italiana odierna e alle classi delle nostre scuole, variegate nella composizione culturale ed economica.

Valditara dichiara che l’aggiunta del termine “Merito” al fianco di “Istruzione” è una scelta ben pensata, che vuole segnare una svolta del pensiero educativo. Asserisce con fermezza che la scuola di oggi è classista e non egualitaria, facendo riferimento prima all’articolo 34 della Costituzione (“La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”) poi a Ernesto Galli Della Loggia (“non è una scuola dell’eguaglianza perché non è una scuola del merito”).

Il ministro si rifà al concetto di merito inteso come la possibilità per tuttə di accedere a posizioni di rilievo e cambiare status esclusivamente grazie alla propria diligenza e capacità. Tutto dipende dall’individuo e dalla sua voglia di impegnarsi nel raggiungimento di un ipotetico obiettivo, che in una società meritocratica e capitalista coincide con una posizione di rilievo economico. Ciò si concretizza, all’interno dell’istituzione scuola, con un sistema di valutazione che alimenta la competizione tra pari e che isola gli individui, preparandoli ad un mondo in cui più produci, più sali nell’ascensore sociale, più potrai consumare e dunque migliorare lo status socio-economico.

La meritocrazia però, come concetto, è del tutto avulsa dalla realtà sociale ed è astorica. Attualmente, nel sempre più complesso e stratificato mondo in cui viviamo e di cui il corpo studentesco è specchio, le diverse provenienze geografiche, le diversità linguistiche, le disparità economiche e socio-culturali dunque di mezzi a disposizione, le abilità che il contesto ha permesso di far emergere e sviluppare in aggiunta ad innumerevoli altri fattori culturali rendono impossibile utilizzare il termine merito con l’accezione che dall’alto viene propinata. Se la scuola è classista è proprio perché è meritocratica. Se nella scuola non vi è eguaglianza è perché non sono forniti strumenti finalizzati ad attenuare la profonda disparità delle basi da cui ogni bambinə parte.

Il sistema meritocratico altro non è che un costrutto sociale abilista, una giustificazione morale per passare oltre le differenze sociali e deresponsabilizzarsi davanti ad esse, attribuendo all’individuo il peso della propria condizione con tutte le implicazioni, soprattutto quelle psicologiche ma non solo, che ciò comporta. Se in epoca moderna il potere escludeva esplicitamente i poveri da questo fantomatico ascensore sociale, nel contemporaneo contesto neoliberista e meritocratico, questo avviene in maniera subdola e silenziosa: ciascuno ha l’illusione di poter accedere a qualsiasi posizione sociale, raggiungere il più alto livello di successo, eppure i poveri restano poveri. Così, allo stesso modo, in ambito scolastico gli studenti che partono in svantaggio difficilmente recuperano, colpevolizzandosi per qualcosa che dipende dall’assenza di strumenti che livellino le condizioni di partenza di ciascuno, in un sistema socio-educativo che privilegia solo chi detiene un privilegio già dalla nascita.

Valditara non è il primo a parlare di meritocrazia, l’istituzione scolastica italiana da sempre si basa su tale idea, ma ora diviene obiettivo principale dell’intervento del Ministro. È questo ciò che  ha annunciato nella giornata di mercoledì 30 novembre 2022 in Senato, quando nel  discorso sulle linee programmatiche del suo mandato ha dichiarato di voler più di tutto 《potenziare il capitale umano del paese dando il giusto spazio al merito come viatico per la piena affermazione della propria personalità e dei propri talenti》. Questo potrà avvenire grazie a un potenziamento delle risorse deputate all’orientamento nel mondo del lavoro e a una più stretta collaborazione tra istruzione e richieste delle aziende del territorio. Fortemente legati risultano così il concetto di merito e la personalizzazione dell’insegnamento (ovvero l’insegnamento specialistico), con l’idea quindi di avvicinarsi al modello tedesco, dove la selezione tra chi studia e chi lavora è più precoce e definitiva.  Altro che mobilità sociale, queste scelte vanno nella direzione esattamente opposta.

La personalizzazione, cioè sviluppare e promuovere nell’alunnə ciò che già spicca, è infatti la scelta educativa che porta ad esacerbare  la condizione di partenza, cristallizzandola.  

Quello che è definito capitale umano sono lə bambinə che vediamo due volte a settimana nel nostro doposcuola: saranno loro a fare gli stage non pagati nelle aziende.  Quello che pensiamo che lo studio possa offrire non è la valorizzazione del loro talento per il lavoro manuale e di fatica, ma  una consapevolezza e una voce, unica arma contro un sistema che lə vorrà ubbidienti e prestanti per il profitto di qualcun altrə.

Invece di temere che una scuola per tuttə rallenti chi è privilegiatə, bisognerebbe chiedersi che cosa s’intenda per  educazione e quale sia il compito della scuola.

La nostra idea è quella di una scuola tenace, che sappia fronteggiare le sfide di questo secolo:  accoglienza e rivoluzione digitale. C’è bisogno di uno sguardo interculturale e di un reale interesse all’alfabetizzazione digitale, padroneggiare il linguaggio può essere strumento di emancipazione e liberazione contro l’algoritmo repressivo e di controllo. Come moltə hanno sottolineato, non basta vietare l’utilizzo degli smartphone a scuola per ripensare materialmente i nuovi paradigmi dell’apprendimento e dell’insegnamento. I casi più interessanti di utilizzo delle tecnologie digitali a scuola provengono proprio da quei contesti in cui le scelte sono state prese in maniera condivisa tra insegnanti e alunnə.

Se alla scuola si chiede ancora di trasmettere nozioni e di infliggere ore ed ore di didattica frontale e passiva, allora si può essere d’accordo quando si pensa allə alunnə stranierə come a un ostacolo per chi arriva in classe padroneggiando già la lingua e le basi della cultura occidentale scolastica. Per noi il compito della scuola è ben altro: cogliere la sfida contemporanea per trasformarsi e divenire luogo di scambio di saperi autentici, dove l’altrə è ricchezza e compagnə, piuttosto che ostacolo o avversariə.

Dunque, non è certo la valorizzazione del “talento” la via per permettere la mobilità sociale, e non è nemmeno la via per una scuola dove regna 《la socialità serena, il rispetto reciproco e responsabilità》. Quella che si sta delineando è la ricetta perfetta per esasperare le disuguaglianze economiche che sono poi alla base della stessa conflittualità cui allude accorato il ministro.  A riguardo, nel discorso, si dice che è necessario prendere delle misure di prevenzione e risoluzione dei fenomeni di bullismo, che sarebbero la causa di un clima inospitale nelle scuole. Vuole una scuola sicura dove “il bullo” venga punito e umiliato, e  si assuma delle responsabilità nei confronti della società grazie a lavori socialmente utili.

Noi non possiamo che inorridire di fronte a questa deriva securitaria, muscolare e fascista che responsabilizza l’individuo e lo spinge ai margini. La causa di un clima poco sereno in classe prescinde dalle singole soggettività, le quali si fanno semmai carico del disagio collettivo, divenendo facili capri espiatori. In certi casi, può anche aver ragione il ministro quando dice che il bullismo deriva da un’educazione sociale ed emozionale  manchevole, perpetuata da adulti che, a loro volta, non l’hanno adeguatamente ricevuta e non sono mai stati educati all’emozionalità. Proprio per questo, noi riteniamo che la risposta sia l’educazione emotiva, di genere e sessuale nelle scuole, per interrompere i cicli della violenza e cambiare rotta come società.

Pensiamo che l’atmosfera ostile sia la stessa che conduce ai casi di suicidio dellə giovani studentə universitariə. Anche lì la causa è a monte dell’individuo e della sua storia. Il problema è la società della performance, che ci trasforma in avversariə, ci isola e ci confonde facendoci sentire sempre solə responsabili del nostro destino; questo isolamento non fa che lasciar terreno alla criminalizzazione del dissenso.

L’intero discorso in Senato, inoltre, sembra confezionato per prepararci all’abolizione del reddito di cittadinanza, cui in effetti accenna quando dice che una scuola che sa orientare verso il lavoro, garantisce allə cittadinə l’autostima che manca a chi si 《arrende al sussidio statale》. Noi, invece, sottolineiamo cosa ci dicono i dati: il 45,8% di chi percepisce il reddito già lavora, ma non riesce comunque a mantenersi (dati Inapp); le donne sono il 52,7% dei percettori (dati Anpal), spesso impegnate nel lavoro non retribuito domestico e di cura. Non sarà forse questo ad abbassare l’autostima?  

L’intenzione, chiara e lampante, è quella di proseguire verso la strada della scuola-azienda della Buona scuola, con l’alternanza-scuola lavoro e le sue morti. Noi invece crediamo che proprio queste siano le cause della “crisi educativa” da risolvere.

Il Doposcuola popolare del Municipio Sociale Làbas si pone apertamente in contrasto con il modello che il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara sta proponendo. Crediamo fortemente che il cambiamento del sistema scolastico vada pensato attraverso un’analisi di sistema. Con il doposcuola vogliamo immaginare un’educazione alternativa, basata sull’accoglienza, sullo scambio e sulla costruzione di una comunità. Crediamo in una scuola multiculturale ed inclusiva, attenta alle soggettività che la attraversano. Crediamo nell’individualizzazione e nel fatto che ciascunə debba essere realmente padronə del proprio sapere. La valorizzazione delle caratteristiche di ognunə deve essere finalizzata allo scambio, alla conoscenza e alla scoperta e non può essere strumentalizzata per giustificare trattamenti iniqui.

Ogni giorno ci prendiamo cura del sapere e delle soggettività che lo ricercano, creando un ambiente sereno di scambio e  conoscenza. Viviamo nell’alternativa e ne siamo noi stessə parte.
Di fronte all’attuale scenario politico nazionale, pensiamo sia importante riprendere un’ importante lezione che lə insegnanti hanno fatto propria rinnovandola in ogni epoca e contesto: non tacere.

Le sfide contemporanee richiedono qualcosa di diverso dal rifugio in modelli educativi del passato o dalla delega alle aziende: noi vogliamo coglierle e tentare uno sforzo d’immaginazione.

Abbiamo detto alcune cose, eppure crediamo che  il neoministro stia smascherando tante altre crepe del sistema che non ci vedranno inermi e ci faranno prendere parola sempre più spesso.

Il nostro è un punto di partenza.
Adesso vogliamo far sentire la nostra voce, come attivistə e come bambinə!