Nelle ore in cui scriviamo la lotta di classe in Serbia (passateci il termine per descrivere la situazione) è ancora concitata.La repressione governativa è continuata anche dopo le dimissioni del primo ministro , ma le mobilitazioni non sono state da meno. Hanno fatto inoltre il giro del mondo le immagini dei fumogeni neri e grigi accesi dentro il parlamento.

A fine gennaio noi eravamo là, esattamente quando Vucevic si è dimesso. Pubblichiamo dunque alcune considerazioni di quel viaggio perché pensiamo possano essere utili per orientarsi su quello che continua ad avvenire e per stimolare anche le nostre mobilitazioni in università.
Siamo partitx perché attrattx dalle storie online su quello che stava succedendo. Volevamo confrontarci soprattutto con studentx universitarx e ricercatorx che alimentavano la mobilitazione. Ci abbiamo parlato. L’entusiasmo, o addirittura la commozione, con cui ci hanno accolto è il miglior souvenir per chi come noi cerca di trasformare l’esistente, ma é importante notare che quando si parlava del movimento in corso tutti i nostri interlocutori erano attenti ad esporsi e misuravano bene le parole che utilizzavano. Premettiamo quindi che la nostra è una visione sicuramente parziale.
Introduzione – un po’ di storia
Dopo la guerra civile in jugoslavia (1991-’95) che fu particolarmente sanguinosa, a capo della Serbia c’era il segretario del partito comunista, Slobodan Milosevic, che fino all’inizio del nuovo millennio alimentò un clima e una politica particolarmente nazionalista nei confronti degli altri popoli jugoslavi.
Nel 2000 il regime di Milosevic cade e la Serbia inizia un ‘avanzata, anche se lenta e contraddittoria, verso la democrazia. In un primo periodo il governo di transizione sembra essere immerso in un lago di corruzione e disfunzioni, in contemporanea, nel primo decennio del nuovo millennio, si intensifica la questione del Kosovo: nel 2008 si autoproclama stato indipendente con il riconoscimento dell’Unione Europea e questo è causa di un risentimento della serbia nei confronti dell’unione, una questione in sospeso che si concretizza in un ostacolo per la Serbia nell’entrare a far parte dell’europa. Conseguentemente nel 2012 il partito progressista inizia a guadagnarsi consenso pubblico, ergendosi come portatore di democrazia e volenteroso di terminare i processi di corruzione portati avanti dalla precedente classe governativa.
Una figura rilevante all’interno del partito inizia a identificarsi in Aleksandar Vucic il quale comincia la sua carriera politica al governo del paese davvero molto giovane: alla fine degli anni 90 era ormai segretario del partito radicale (SRS) che nel ‘98 entra a far parte della coalizione di governo insieme al partito socialista, guidato invece, come detto prima, da Milosevic. La cosa estremamamente interessante, come un nostro fidato informatore serbo ci ha riferito sulla situazione, è che oltre ad essere stato ministro dell’informazione nel governo di coalizione, influenzando e determinando così una logica estremamente repressiva nei confronti dei media serbi opposti al governo, politica che condiziona ampiamente tutta la funzionalità dei media agli inizi degli anni 2000 (e vedremo poi che la repressione completa dei media indipendenti sarà uno strumento ampiamente utilizzato nell’attuale governo di Vucic), la cosa più rilevante è il passaggio di quest’ultimo dal partito radicale nazionalista di destra al partito progressista una volta caduta la coalizione di governo precedente; Vucic inizierà a prendere protagonismo politico in questo partito, iniziando la sua ascesa verso il ruolo di presidente della nazione. Nel 2012, è segretario del partito progressista e viene eletto prima ministro della difesa e vice primo ministro, poi nelle elezioni del 2014 diventa primo ministro e inizierà il processo per l’ingresso nell’unione europea.
Man mano che il suo governo si consolida, l’animo progressista inizia a lasciare il posto a prese di potere significativamente autoritarie e progressivamente corrotte, creando una piramide gerarchica fatta ad hoc per consolidare un regime sulla scia dell’autoritarismo e composto da personalità vicine e fedeli alla figura di Vucic e ai suoi collaboratori. Si crea un sistema di dipendenza delle varie figure inserite nel sistema di governo, così fitto che l’intero sistema sarebbe messo a repentaglio qualora dovesse cadere un pezzo di questa piramide. Ma come svariate persone ci hanno esplicato, i rapporti di corruzione in corso non possono cessare venendo meno solo un pezzo perché sono di fatto parte integrante del sistema governativo. A questo si aggiunge una maggiore repressione del dissenso dell’opinione pubblica, talvolta anche in maniera particolarmente violenta.
Nel 2016 Vucic diventa presidente e anche l’opposizione di governo inizia a farsi voce di denuncia nei suoi confronti accusandolo di star restringendo la libertà di espressione indipendente dei media e l’eventuale dissenso del popolo. Non a caso, i canali televisivi inizieranno a essere direttamente canali governativi non indipendenti, manipolando e monopolizzando l’informazione. Una rottura ulteriore e decisiva si avrà durante il periodo pandemico, caratterizzato da false promesse elargite dalla governance per assicurarsi il voto e forti proteste conseguenti represse con particolare violenza. Da quel momento, più o meno in tutta la Serbia, è diventato evidente il carattere repressivo e corrotto del governo.
Democrazia diretta
Oltre alle condizioni preesistenti, alla tragedia di Novi Sad e al tentativo da parte del governo di assumere dei picchiatori incappucciati per reprimere i primi malumori a riguardo, ciò che ha reso possibile una tale mobilitazione diffusa é stata l’ampia partecipazione alle occupazioni delle facoltá e la loro organizzazione capillare.
Lx studentx, stufx del silenzio della politica tutta, non solo quella governativa, hanno presto capito che smuovere il paese sarebbe stato molto difficile, specialmente se intanto avessero dovuto stare appresso a lezioni ed esami. Da qui la decisione coraggiosa e razionale di bloccare tutta l’universitá e di renderla spazio di organizzazione del movimento finalizzato al raggiungimento delle loro richieste. Da novembre al momento del nostro viaggio il numero delle facoltà occupate è andato aumentando fino a raggiungere la quasi totalitá di quelle presenti del paese, ovvero un’ottantina.
Le universitá occupate sono quindi diventate una specie di istituzione per la mobilitazione generale: al loro interno si è deciso veramente di tutto, le rivendicazioni, le iniziative da mettere in campo, i metodi, etc.
Ogni facoltà occupata esprime la sua sovranità nelle assemblee plenarie, le quali sono state l’organo decisionale piú importante. Per mettere in pratica le decisioni di quest’ultima ci sono poi i gruppi di lavoro, assemblee di natura piú ristretta e con riscontri molto pratici che si occupano di temi specifici: rapporto con i media, sicurezza, logistica all’interno dell’universitá (cibo, letti, etc), attivitá di svago e altri ancora. Le decisioni di carattere piú generale riguardanti i passi futuri di tutto il movimento studentesco invece vengono prese in assemblee -a detta di alcunx studentx con cui abbiamo parlato- molto lunghe e complesse, dove si ritrovano dei rappresentanti eletti da ogni plenaria che discutono basandosi sulle decisioni e le proposte di ogni facoltá.
Si puó dire con certezza che in Serbia, e in special modo nelle università, stia avvenendo un interessantissimo esperimento di democrazia diretta e che, eccetto quelle inter-facoltá, ogni tipo di assemblea che ci hanno raccontato sia totalmente aperta agli studentx della facoltà che desiderano partecipare. Non ci sono necessariamente partecipanti fissi e le decisioni vengono prese a maggioranza, per alzata di mano. Ognunx é liberx di fare proposte che, se vengono votate, diventano subito effettive.
Per dare un po’ il senso di quanto lx studentx abbiano fatto loro questo metodo organizzativo radicalmente democratico, dobbiamo raccontare di come quando siamo andati alla facoltá di scienze politiche. Per permettere di farci entrare c’è stato bisogno che qualcuno proponesse in assemblea di fare uno strappo alla regola per il gruppetto di italianx curiosx e una successiva votazione favorevole alla mozione. Queste precauzioni sono state prese infatti per evitare che esterni pagati dal governo entrassero a vedere come sono organizzate le facoltá occupate. In sostanza, senza il badge non si poteva entrare, e quello dell’Unibo, fino a quel momento, non valeva.

E’ stato buffo quando, proprio mentre stavamo chiacchierando fuori da SciPol in attesa del verdetto assembleare, abbiamo scoperto che questo loro modo di organizzarsi fosse stato descritto dal governo come prova di infiltrazioni croate dentro al movimento studentesco. La questione ruota tutta intorno ad una zine uscita fuori dall’occupazione del 2009 della Facoltá di Umanistica e Scienze Sociali di Zagabria. “The Occupation Cookbook” racconta di come l’occupazione della facoltà al tempo fosse organizzata con una plenaria e dei gruppi di lavoro.
Non si è capito quanto questa storia sia vera. Sta di fatto che anche noi consigliamo la lettura della zine. Un’altra cosa veramente degna di nota delle occupazioni e che senza dubbio sta rafforzando le mobilitazioni, è come la stragrande maggioranza dei professori sia assolutamente d’accordo col blocco delle lezioni. Abbiamo addirittura visto professoresse entrare a Filosofia durante un’assemblea, e degli studenti salutarsi come fratelli con dei professori fuori da Veterinaria – centro logistico del blocco del cavalcavia dell’autostrada che ha portato alle dimissioni del primo ministro.

Oltre le quattro richieste
Siamo partitx perché sapevamo che a sole 8 ore di macchina si trovava un paese dove la stragrande maggioranza delle facoltà era completamente bloccata da ormai piú di due mesi. In rete girava un comunicato di quellx studentx che ci invitavano a fare lo stesso, sostenendo che il mondo fosse sull’orlo del collasso e che la democrazia rappresentativa stesse fallendo mettendo a rischio il nostro futuro. Quando siamo arrivatx abbiamo capito che quel comunicato rappresentava una parzialità in un orizzonte molto più ampio di pratiche e idee. Abbiamo scoperto che era stato scritto dalla plenaria della facoltà di Arti Drammaturgiche (la prima ad essere occupata) e che probabilmente per la sua radicalità non era mai stato approvato dalla totalità del movimento. Molti ci hanno detto che quello era il “comunicato degli artisti”. Beh, bisogna comunque riconoscergli che hanno scritto un bel testo.
Durante la nostra permanenza a Belgrado abbiamo capito che il movimento chiede che le persone incappucciate pagate dal presidente per reprimere violentemente le proteste subiscano un regolare processo da parte della magistratura. Si punta ad evitare che simili episodi possano succedere ancora.
Si chiede che i funzionari che hanno firmato le carte riguardanti Novi Sad dichiarino e pubblichino la verità.
Si chiede, andando ben oltre i fatti della stazione, che lo stato serbo inizi a funzionare secondo la propria costituzione, che gli apparati statali corrotti vengano giudicati dalla magistratura, e che i giornali e la televisione non siano piú mezzi della propaganda governativa ma dei reali media informativi indipendenti.
Per approfondire le rivendicazioni si vedano i due articoli che abbiamo scritto su municipiozero:
Parlando con le persone abbiamo intuito che la speranza generale del movimento sia, insomma, quella di smuovere il paese a tal punto da far sì che gli apparati statali comincino a funzionare come in una democrazia sul modello europeo. Il claim è diventato piú democrazia. Noi sappiamo che questo modello ha tanti difetti, si pensi banalmente a come in Italia il rapporto tra politica, magistratura e media sia profondamente cambiato negli ultimo anni; oppure si pensi a tutti i casi dove tra il morto e la veritá processuale sta di mezzo la polizia, ma anche alle mazzette, agli accordi con imprenditori e mafiosi, agli abusi edilizi. Eppure da là la visuale è diversa. Una democrazia come la nostra sarebbe sicuramente un bel miglioramento rispetto ad un sistema dove un partito sta al governo per piú di un decennio ed il presidente gestisce sottobanco gli affari con aziende, UE -proveremo ad ampliare il discorso sul rapporto con questa in un’altra pubblicazione- e Cina.
La domanda che però ci siamo posti è stata: “come si puó passare da blocchi diffusi dell’universitá ad un nuovo sistema statale non piú basato su rapporti informali di potere e corruzione?”. Ovviamente le cose sono in continua evoluzione, ma parlando con svariatx di loro ci é sembrato che questo interrogativo non fosse tra le loro prioritá, o che comunque la mobilitazione fosse appunto molto incentrata sulle quattro richieste.
Questa politica delle richieste invece che della proposta trasformativa è, con ogni probabilità, proprio il risultato della democrazia diretta di un movimento fatto di studentx con ambizioni ed opinioni diverse. Sicuramente è quello che sta permettendo una presenza massiccia ed eterogenea nelle piazze: le richieste sono chiare e semplici, tuttx le conoscono e le hanno comprese. Finché lo stato serbo non tirerà fuori tutti i documenti si starà in piazza. Questo almeno è un punto che ci è sembrato determinare la forza delle mobilitazioni.
Cosa succederá dopo? A questa domanda nessunx ha saputo darci risposta.
Il nocciolo della questione è che non si stanno chiedendo nuove elezioni o che cambi il partito al governo: si sta chiedendo un cambiamento sistemico, ma si ha paura di fare una proposta politica che vada oltre il rispetto in senso stretto della legge e della costituzione. Si ha paura che una proposta del genere possa far spuntare fuori dei leader facilmente attaccabili dagli apparati governativi e dai media da essi controllati, ma si ha soprattutto paura che una proposta – potenzialmente divisiva – possa portare un alt delle mobilitazioni e aggiungere all’immobilismo istituzionale un immobilismo del movimento. Insomma, dubbi e domande forse già superate dai fatti e che sarà nostro interesse approfondire.
Come abbiamo scritto in testa semplificando, la lotta di classe in Serbia, che a questo punto potremmo definire la lotta per la democrazia, pare continuare.

Per la mobilitazione universitaria
Finito il viaggio, abbiamo subito cominciato a pensare a quali spunti positivi potevamo riportare in Italia. Nel 2024 abbiamo potuto vedere come la voglia di attivazione da parte dellx giovanx nel nostro paese stia aumentando, lo abbiamo visto con le acampade per la Palestina, lo abbiamo visto con la crescita di reti di universitarx che non ci stanno piú ad avere prospettato un futuro di precarietá e lo stiamo continuando a vedere con il crescente malcontento verso il governo, le sue leggi irrazionali, i suoi accordi con l’oligarchia mondiale e i suoi frivoli tentativi di risolvere un problema di sicurezza reale mettendo in galera attivistx e migranti con leggi ad hoc.
Tornando dalla Serbia, abbiamo ragionato di come – forse – quello che era mancato ai nostri percorsi di lotta fosse stato proprio una capacità organizzativa tale da creare una convergenza reale e soprattutto una narrativa accessibile a tuttx, come quella che è stata creata laggiù.
Pensiamo che la lotta per l’universitá pubblica possa essere il campo dove sperimentare certe cose e che, invece di essere reattiva, debba essere capace di fare proposte. Un trampolino di lancio, dialogante con le lotte di tutta europa, per immaginare una mobilitazione all’altezza del presente.
In Serbia lx studentx hanno letteralmente cominciato a fare la storia. Tenendo conto delle differenze; dovremmo farlo anche noi.
Come avrebbe detto qualcuno:
Students of the world, join the blockades!