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Per risolvere il rompicapo del presente cercare l’orizzonte – terza parte

Nei precedenti interventi abbiamo sostenuto che non siamo più nel tempo dei post (post-fordismo, post-moderno) – categorie che hanno avuto senso nel segnare la fine del ciclo della modernità. Oggi siamo nell’epoca dell’Oltreumano, un mondo nuovo che si materializza tra continue collisioni di poteri, vecchi e nuovi.

Ogni giorno ci arriva un nuovo pezzo del puzzle di questo mondo. Ci accorgiamo che l’Oltreumano è ibrido, fatto di tecnologie, algoritmi, soggettività emergenti, ambienti mutati e sotto-sistemi che non hanno più nulla a che vedere con quelli del passato. Non è solo il segno di un cambio d’epoca, ma di un salto di era geologica. Il capitalismo stesso, quello che abbiamo definito come Il sistema, sta cambiando, sicuramente non è più unipolare.

Continuare a forzare i pezzi dentro un vecchio puzzle già completato significa autoconvincersi di qualche ideologia del passato, divenire conservatorə o restare per sempre irrilevanti. D’altro canto, se si vuole essere parte del nuovo materialismo che trasforma l’ordine delle cose, oggi, si rischia di incrociare nella strada partiti di destra estrema o qualche setta anarco capitalista, ma raramente si incrociano “i compagni e le compagne”, e questo è un problema.

Mentre moltə si affannano a ripetere vecchie formule, c’è chi il nuovo puzzle lo sta già completando; e c’è anche chi, per dominarlo, fa tabula rasa di vite, territori e città. Ci sono tanti modi di agire nell’Oltreumano, tutti modi che vanno presi sul serio. Il piano su Gaza fa parte dell’Oltreumano, così come ne fanno parte l’invasione dell’Ucraina, il Partito Unico Cinese e la rincorsa di Trump a costruire la sua dinamica oltre la democrazia. 

Mentre scriviamo nuove bombe cadono dal cielo. Trump gioca le sue carte come un venditore di tappeti stabilendo il prezzo in base al momento, forzando la mano perché è consapevole che nulla tornerà come prima. Nel caos sistemico ogni mossa è imprevedibile e pericolosa, ma come dimostra la guerra mossa da Israele all’Iran le azioni sono preparate da lungo tempo e hanno conseguenze che modificano il reale per un tempo ancora più lungo. La rivoluzione dall’alto – la dinamica in cui attualmente siamo immersə – non è solo un insieme di mosse scaltre, ma un nuovo paradigma. Per quanto ci facciano ribrezzo, bisogna osservare ciò che fanno: per preparare la rivoluzione ci vogliono tempo, mezzi e un orizzonte. Tra tutti gli Oltreumano possibili manca il nostro.

Per facilitare la lettura il testo è diviso in tre parti, muovetevi con i link tra di esse o scaricate il pdf completo:

#1 Oltreumano. Tutto è cambiato, ma veramente

#2 Oltredemocrazia. Conflitto con-senso progettuale

#3 Rivoluzione. No kings



#3 Rivoluzione. No kings

L’egemonia del presente nasce da una rivoluzione dall’alto: strutturale, ideologica, radicale. Si fonda sulla paura – e quindi sulla richiesta ossessiva di sicurezza –, sull’odio eretto a linguaggio pubblico, sulla disgregazione del simile tra simili, sull’insicurezza come strumento di comando. È una rottura consapevole con l’universalismo del ciclo globalista, che disprezza apertamente la “civilization” neoliberale degli ultimi cinquant’anni, ridicolizza le sue istituzioni decadute – ONU, Corte Penale Internazionale, organismi multilaterali – e rigetta la retorica dei diritti umani come impotente. Non ci sono caschi blu nel Donbass né ai valichi di Gaza; non ci sono no-fly zone nei cieli di Teheran: il diritto è stato sostituito dalla forza.

Questa nuova politica affonda le radici nella religione, nella supremazia culturale, nell’arbitrio dei primi tra diseguali. Da Putin a Trump, da Meloni a Erdoğan, da Netanyahu a Orbán: i costruttori del nuovo ordine sono ideologi della guerra, fautori di un “Noi” contro il comune – un “Noi” che spesso coincide con l’Io ipertrofico del leader –, promotori di recinti contro ogni forma di commons. Paura generata con la paura, denaro riprodotto con il denaro, rendita contro salario: è questa la grammatica della nuova egemonia, che si traduce in leadership autocratica contrapposta alla democrazia liberale. Gli oligarchi fanno politica, e i profili social dei leader sono più efficaci di qualunque partito: incarnano direttamente la strategia del comando.

Il processo costituente del nuovo mondo – turbolento, autoritario, tecnologicamente avanzato – ha nella guerra la sua disciplina principale. Regola i conflitti tra stati, tra sottosistemi, ma anche quelli interni: l’abbiamo definito uno “stato di guerra civile permanente”. Lo vediamo negli Stati Uniti con chiarezza nelle città militarizzate dai marines, ma si estende ben oltre.

Intelligenza Artificiale

Oggi i fondi – compresi quelli che muovono le guerre – sono guidati da algoritmi di IA. Le fabbriche 4.0 sono governate da intelligenze artificiali; e, come abbiamo detto, l’IA è in competizione con nuove monete che hanno un impatto non trascurabile sulle dinamiche politiche. L’IA è il modo in cui il capitalista collettivo si è appropriato dell’intelligenza collettiva, il general intellect. È l’accumulazione originaria del Terzo millennio: il nuovo inizio nella relazione tra lavoro e capitale.

Ogni algoritmo di IA va addestrato: deve apprendere, capire “cosa fare sulla base di ciò che è stato fatto”. Il machine learning è il processo attraverso cui viene estratta – o meglio a-stratta – la conoscenza collettiva e trasformata in codice, senza pagare alcun dazio, cioé senza reddito universale. L’appropriazione del saper fare collettivo e la sua codifica in algoritmi proprietari riduce il lavoro socialmente necessario, diminuisce la quantità di lavoro per unità di prodotto, indebolisce il potere contrattuale della classe operaia.

Questa rapina sta al nuovo modo di produzione come il plusvalore assoluto stava al regime salariale regolato dalla legge del tempo-lavoro. La composizione organica del capitale è mutata in profondità: cresce in modo smisurato il capitale costante, mentre si riduce percentualmente quello variabile. Le enormi concentrazioni di capitale comprimono il valore investito nella forza lavoro, nel salario diretto e in quello indiretto. È un cambiamento economico, ma è anche un cambiamento politico.

La nostra rivoluzione

Il mondo è attraversato da una rivoluzione i cui protagonisti stanno in alto: oligarchi politici, finanziari, spesso entrambi. Sono imprenditori politici, perché agire politico e agire finanziario sono oggi due lati della stessa medaglia del comando. Gli oligarchi sono in competizione per una nuova forma di appropriazione originaria. Da questo punto di vista, il globalismo è esaurito: siamo ben oltre l’epoca in cui le catene globali del valore si integravano tra e nei continenti, generando l’equilibrio del diritto internazionale. Oggi assistiamo a guerre improvvise, ad alleanze un tempo impensabili tra imperi e sottosistemi, a fondi sovrani e centrali capitalistiche in lotta per un punto di equilibrio che non potrà emergere prima della risultante delle forze in gioco.

La rivoluzione primaria è strutturale: riguarda il modo di produzione. È una rivoluzione armata, fatta di jet e droni, di intelligenze artificiali e soldati in trincea. Su di essa si innesta la rivoluzione secondaria, sovrastrutturale: quella che riguarda l’organizzazione del consenso, la produzione dell’egemonia.

La fabbrica moderna è il luogo di produzione, e non solo in senso economico: produce cultura, l’‘uomo nuovo’”, scriveva Gramsci nel Quaderno 22, prima che il fordismo travolgesse l’Europa continentale e le sue società premoderne. Nella storia – brevissima – dell’umanità, l’organizzazione del consenso è sempre stata decisiva: riti, religioni, simboli. Diritto e istituzioni sono le chiese che custodiscono i rapporti di produzione. Senza tempio non c’è fabbrica. Senza diritto, non c’è padrone.

La Rivoluzione dall’alto è strutturale ed ideologica. È di destra, se possiamo ancora usare questa ripartizione, sentendo in bocca un amaro sapore perchè per cent’anni la sinistra è stata rivoluzionaria e la destra reazionaria. Non si può affrontarla chiedendo il ritorno al passato, esso non torna. Bisogna collocarsi dentro questa rivoluzione, contro la sua Egemonia di immaginario, di linguaggio, di cultura. Dobbiamo tornare a valorizzare l’analisi, costruire un punto di vista soggettivo e organizzarci in modo nuovo per confliggere, per elaborare intelligenza e costruire – nel tempo – un consenso per la nostra rivoluzione.

Bisogna ripartire dalle fondamenta: valori, programmi generali, strategie di lungo periodo. E possiamo farlo solo se evitiamo l’errore di rimpiangere la democrazia liberale. Quella era la costituzione formale del fordismo, un equilibrio dinamico e dialettico tra classe e Stato. Oggi dobbiamo immaginare una rivoluzione diversa: che federi specie diverse, che tenga insieme singolarità e comune, che elabori un regime produttivo antagonista agli oligarchi. Una rivoluzione che faccia male, davvero.

Il futuro, per essere migliore, dovrà essere Oltreumano. La democrazia dell’Oltreumano non è – e non potrà mai essere – quella che abbiamo conosciuto finora. Il nostro Oltreumano è una possibilità tra i tanti futuri possibili. Sarà una rivoluzione che sovvertirà il controllo.

Lenin in Cina

Concludiamo con quella che può sembrare una forzatura, ma a ben pensare potrebbe non esserlo.

Dicevamo prima che i cinesi stanno già a pieno nell’Oltreumano. Vivono l’Oltredemocrazia come continuità con il loro passato recente. Nelle strade di Pechino sfrecciano silenziosamente le auto a guida automatica, nelle scuole elementari si insegna l’Intelligenza Artificiale, i sistemi di sorveglianza sono ovunque, si studia come usare i robot dentro le mura domestiche e non solo, nelle fabbriche al buio lavorano i robot 24 ore su 24, il partito traccia la strada. Questa è solo una faccia della medaglia di un vastissimo paese dove oltre alle metropoli ci sono migliaia di km2 non urbanizzati, sussunzione brutale delle forme di vita alla centralizzazione economica e politica, lavoro povero e divario di genere. Nel complesso ci sembra un mondo che non ha problemi di resistenza al passato, mentre noi dobbiamo subire i Trump e dobbiamo resistere a Meloni, a questa cosa fascista, a volte retorica ma anche vera, e dobbiamo difendere le forme di democrazia conquistate che vogliono cambiare.

Per la Cina è cambiato molto ma al tempo stesso ben poco nel mondo che ha vissuto, e finora pare che gli sia andata bene a parte qualche protesta di cui ascoltiamo appena brevi notizie.

In Cina sono, per così dire, abitanti più genuini di noi dell’Oltreumano accompagnato dall’Oltredemocrazia. C’è una composizione tecnica adeguata, ci sono giovani e studentə che sanno stare in questo mondo a differenza di noi in Occidente che arranchiamo sempre più decadenti alle prese con un passato che non tornerà.

Ma, come sempre c’è un ma. La Cina è del tutto interna alla dinamica ibrida di guerra dei sottosistemi e si sta adeguando alla nuova fase di competizione all’interno del capitalismo dell’Oltreumano, ponendosi il problema che per competere con gli americani sui dazi deve aumentare il consumo interno. Non può più essere la fabbrica del mondo; la potente accelerazione che lə ha portatə ad essere quel che sono ora dovrà trovare un cambio di direzione. Devono allargare il mercato interno e per farlo devono rafforzare la categoria del consumo. Per cui la gente deve lavorare meno, avere più tempo per spendere non solo in beni di prima necessità ma in senso ampio, allargare sogni, desideri, spinte. Ce la farà il partito a governare questo balzo? Certo, ha dimostrato che in sella ci sa stare alla grande, e gli strumenti di controllo nelle sue mani appaiono sempre più potenti; ma, mantenendo una visione materialista, ancorata alla lotta di classe, per noi sarà interessante vedere cosa produrrà la soggettività cinese in formazione, piena di Oltreumano che gli consente di poter sviluppare e vedere il godimento – che non è solo lavorare ma anche godersi la vita. Cosa può produrre questa soggettività dal punto di vista della coscienza di classe, dei comportamenti?

Noi di tutto questo sappiamo poco e dovremmo saperne di più, conoscere cosa sta succedendo visto che sotterraneamente si parla di scioperi e altre forme di lotta. È quel tipo di composizione che se si mette in moto e non gli va bene il partito unico, forse può portare un contributo importante anche alle nostre latitudini, all’Oltredemocrazia per come la intendiamo noi.

Per cui, parafrasando, Lenin lo vediamo collocato a Pechino più che a casa nostra.

Oltre

Oltredemocrazia, Oltreumano, Rivoluzione: sono categorie che non possiamo lasciare vuote, né consegnare ad altrə. Non sono passaggi da rimuovere per tornare a certezze perdute. Spetta a noi riempirle di senso, contro ciò che propongono la destra e le forze sistemiche. Non solo come resistenza, ma come strumenti partigiani per delineare un nuovo orizzonte. Senza questa attenzione, senza questa profondità nell’affrontare i nodi del presente, ogni discorso rischia di ridursi a una narrazione stanca; ogni giorno vedremo il nuovo che avanza e torneremo a consolarci con un bel feed ricco di glorie passate con cui cercheremo di incasellare i pezzi in un puzzle già completato.