Ci svegliamo poco prima delle 6 della mattina sugli scompartimenti di uno dei treni che ogni giorno percorre la tratta L’viv – Kyiv. Scambiando qualche parola con una ragazza adolescente compagna di cuccetta, come altre in questi giorni è stupita di vederci qui. Lei non fa politica attiva ma la guerra, ci racconta, coinvolge tutt*. Lei stessa sta accogliendo nella sua casa a Kyiv alcuni parenti costretti a lasciare la città di origine.
Quella di oggi è un’altra giornata densa di confronti. Ci accoglie Sergey di Solidarity Collectives nella sede che è anche un magazzino per gli aiuti da dare al fronte e nelle città dove intervengono. Ci aggiorna sul lavoro che fanno: portare aiuti e beni sanitari e di prima necessità; ricostruzione (anche materiale) di palazzi lì dove lo stato non arriva; avvio di un lavoro culturale. Vogliono riportare il cinema a Limàn e in altre città dell’est. Dopodomani partiranno verso il Donbass. Per Sergey la priorità è la pratica: “quando finirà la guerra noi potremo dire che c’eravamo”. Ci mostra le lettere e gli attestati di ringraziamento ricevuti da persone e gruppi che hanno aiutato in questo anno e mezzo. Ma l’anima di Sergey è politica cercando sempre di adattare la pratica ad un ragionamento autonomo e collettivo che guardi alle reali trasformazioni della società.
Suona l’allarme anti-missili, ma dura poco. Questa cosa si ripete tre volte nel corso della giornata. Ci spiegano che spesso gli allarmi scattano quando salgono in volo i Mig russi. Non è detto che facciano partire dei missili, possono essere solo voli di ricognizione, ma non si può sapere. Solo una volta ci rifugiamo nella metropolitana. Quando suona l’allarme l’ingresso è gratuito. Volendo si può arrivare molto in profondità perché tra le metro costruite in età sovietica è una delle più profonde, 87 metri.
Con Sergey ci prendiamo un momento per parlare di droni e tecnologie. Le guerre servono sempre per fare un salto di specie nelle tecnologie militari e di sorveglianza. Chissà se almeno la consapevolezza di questo salto ci possa permettere di avere maggiore forza nel futuro per contrastare il moltiplicarsi stesso delle guerre.
L’incontro con Sotsialny Rukh avviene nel giardino dell’orto botanico. Il parco ci fornisce un po’ di silenzio per registrare le interviste, finché la sirena non suonerà ancora. Conosciamo Vitalii Dudin, segretario del board di Sotsialny Rukh, ci spiega che l’organizzazione è stata fondata nel 2015, in seguito a varie rotture avvenute dopo Euro-maidan ed in risposta alle leggi per la de-comunistizzazione. Insieme a lui ci sono Alexander e Denys. Denys vorrebbe un trasformazione radicale della società ma non vede ora le condizioni per una rivoluzione. Stanno lavorando per ingrandire l’influenza della loro organizzazione, per costruire un partito, l’obbiettivo è ridare spazio alla sinistra in Ucraina visto che, dicono loro, alla base della società è molto diffuso il desiderio di una socializzazione e di un maggior benessere. Ma per verificare che il lavoro fatto fin qui da Sotsialny Rukh ottenga i risultati sperati bisognerà aspettare la fine della guerra.
Avverrà veramente che ci sarà uno spazio per la “sinistra”? Oppure anche in una situazione più liberale lo spazio per la “sinistra” sarà chiuso mentre le forze di estrema destra troveranno un modo per ri-farsi avanti? Abbiamo sentito molte opinioni a riguardo, questo punto torna spesso nei dibattiti tra attivist* ucrain*. Non è speculazione, ma un dibattito teorico/pratico sulla base del quale vediamo tutte le persone conosciute agire.
La campagna lanciata per l’abolizione del debito di guerra punta a loro avviso ad aumentare gli spazi di agibilità per politiche sociali ed espansive dopo il conflitto.
Sotsialny Ruch struttura il suo lavoro principale nel costruire rapporti con i sindacati. Acciaio, cure mediche, costruzioni, ferrovie e trasporti. Provano a fare quello che nessuna forza politica al di là dell’estrema destra fa, costruire azione dal basso, una politica veramente radicata nella società.
Passiamo la sera insieme ad Olexander leader del sindacato dei ferrovieri (“Free Trade Union of Railway Workers” parte della “Confederation of Free Trade Unions of Ukraine”). Lavora da venti anni per la Ukrzaliznycja (l’azienda pubblica delle ferrovie). Durante le interviste ci ha mostrato una grande ospitalità, offrendoci da mangiare e da bere. Ci racconta del vino che auto-produceva la sua famiglia a Melitopol. Da quando la terra è occupata dai russi non è più potuto tornare. Melitopol si trova nei cosiddetti territori russofoni ma Alexander ci dice che quasi nessuno ha accolto i russi come liberatori. La casa della famiglia al momento dovrebbe essere vuota e, nella cantina, ci sono due botti intere del vino prodotte nel 2019, ferme lì ad invecchiare
Non parla inglese, ma ha passato tutta la giornata con noi. Ci spiega, grazie al contributo di un compagno che ci supporta nella traduzione, la prospettiva delle trade unions ferroviarie. La guerra ha mostrato anche a chi riponeva una spropositata fiducia nella privatizzazione dei servizi proposta dagli oligarchi nazionali e internazionali che il neoliberismo non è la risposta: il ruolo centrale del trasporto su rotaie ha fatto capire molto chiaramente che una privatizzazione del trasporto di merci e persone sarebbe stata fatale in concomitanza dell’invasione. Questo adesso è evidente anche alla maggior parte della popolazione ucraina, anche se c’è sempre chi continua a volere la privatizzazione.
Nella prospettiva di Sotsialny Ruch compagni come Alexander saranno fondamentali dopo la guerra ed anche per questo motivo è importante un nostro supporto ora, per non scordarci di loro dopo.