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Il desiderio di movimento contro i Re e le loro guerre

Ripubblichiamo la lettera pubblicata oggi sul Manifesto per aprire uno spazio di confronto ampio, a partire da sabato 15 novembre a Roma, e immaginare una giornata NO KINGS anche in Europa.

In Italia, per la prima volta dopo anni, un movimento ampio e popolare ha scosso la politica e le istituzioni fino alle fondamenta, incrinando la rassegnazione. Con la Flotilla si è sentita un’aria nuova: un soffio potente, moltitudinario, capace di attraversare confini e piazze. La Palestina ci ha mostrato, più di ogni altra fase storica, di cosa sono capaci il capitale, il patriarcato, la nazione, la religione: macerie e devastazione.

Tutte le guerre in corso stanno trasformando il capitale, spingendolo verso la corsa agli armamenti, modificando economie e destini, compreso quello dell’Europa. Oggi infatti è questo il volto dell’Europa: armi e controllo, mentre ogni visione ecologica e sociale viene rimossa. Ma la guerra in Palestina è andata oltre, mostrando non solo la lunga storia di oppressione e ribellione, ma anche il presente e il futuro possibile del pianeta. Se quella vista a Gaza è la misura dell’annientamento che si può raggiungere su questa Terra, a essa vogliamo contrapporre un desiderio di vita diverso. Questo desiderio di vita ha attraversato le maree degli ultimi anni, da quelle climatiche a quelle trans- femministe, e tutto possiamo dire fuorché sia sopito dopo le straordinarie piazze di settembre e ottobre.

Le complicità del governo italiano — e di tanti altri— con il sistema che sostiene il genocidio e il colonialismo d’insediamento ci mostrano chiaramente contro cosa e chi lottare, e che non siamo soli. Hanno dichiarato una tregua, ma se i governi restano gli stessi, chi può credere alla durata delle tregue e delle paci? E soprattutto chi può credere a una “pace” armata durante la quale si continua ad utilizzare la fame come arma di morte, durante la quale apartheid, violenza coloniale e normalizzazione del genocidio si rafforzano unitamente a chi ha reso possibile tutto questo?

La domanda non riguarda solo la Palestina ma anche noi che abbiamo— per quanto ancora? — il privilegio di lottare. Le cronache di questi giorni ci mostrano come il governo Meloni vuole imporre la sua finanziaria di guerra: sfratti eseguiti con violenza brutale, polizia a garantire l’agibilità politica dei neofascisti fuori le scuole, università messe sotto controllo governativo, mentre la precarietà e la compressione salariale acuiscono la ricattabilità. Nella pausa delle mobilitazioni di questi giorni abbiamo visto il colpo di coda di forme di squadrismo e della stretta repressiva, di cui il dl Sicurezza è l’espressione massima.

Ecco la svolta autoritaria e la democrazia di guerra già all’opera. La domanda che ci deve assillare allora è: come si fa a fare come la Flotilla ogni giorno? Come facciamo a mettere in pratica la speranza, a incarnare una possibilità? A diventare un attore collettivo in grado di cambiare le cose? Come costruiamo dunque mobilitazioni grandi ed efficaci, ora che lo sciopero – convergente – è tornato a essere uno degli strumenti più importanti nelle nostre mani? Senza alcun determinismo pensiamo che per tutti gli scioperi dell’autunno, e oltre, il tema sia la generalizzazione che parte dalle città, dai territori, dalle tante contraddizioni e dalle tensioni sociali internazionali e del paese.

Abbiamo scritto questa lettera per aprire uno spazio di possibilità. Per questo proponiamo di incontrarci in assemblea a Roma il 15 novembre. Se dall’assemblea nascerà davvero un rilancio in avanti, non saremo più solo queste e questi, ma molte e molti di più — con un metodo organizzativo tutto da inventare, ma con la convergenza e l’ambizione di dare forma a grandi progetti comuni. Proprio perché la crisi è sistemica, noi non siamo per un nuovo governo, siamo per un mondo nuovo. Al contempo è innegabile il ruolo del governo Meloni nel costituire una triangolazione nera con Trump e Netanyahu, pronta ad annichilire ogni movimento sociale.

Condividiamo una prima idea da discutere insieme: stare all’interno di una processualità già in corso, che incrocia le piazze climatiche, transfemministe e degli scioperi per arrivare a opporci a una legge di bilancio fondata sulla guerra, il militarismo e lo sfruttamento. Il governo Meloni siede allo stesso tavolo dei nuovi autonominati “Re” perciò, per tutte le ragioni esposte, tutte e tutti noi abbiamo il diritto di affermare che il “re è nudo” e vogliamo avere il nostro No Kings Day: non si tratta di mutuare esattamente le caratteristiche del movimento statunitense, né di regalare alla figura di Meloni una centralità personale che del resto non le riconosciamo. Si tratta di continuare ad affiancare al generale il generalizzato, all’internazionale il “qui e ora” e di dare alla lotta tappe convergenti e generalizzanti. Di costruire insieme la risposta alla svolta autoritaria italiana, all’economia di guerra e allo sfruttamento per aprire un orizzonte nuovo.

Per questo ci diamo come arco temporale le prime due settimane di dicembre per una giornata che possa segnare la storia d’Italia e d’Europa, per un continente di pace, ecologico e non più complice del sistema di morte.

*Primi firmatari: Giorgina Levi (Global Movement to Gaza), Maria Elena Delia (Global Movement to Gaza), Dario Salvetti (Collettivo di Fabbrica Ex Gkn), Raffaella Bolini (Arci Nazionale), Christopher Ceresi (Municipi Sociali Bologna), Francesca Caigo (Centri Sociali del Nord Est), Valentina D’Amore (Csa Astra/ Brancaleone), Marino Bisso (Rete No Bavaglio), Elena Mazzoni (Rete dei Numeri Pari), Demetrio Marra (Csa Lambretta, Anita Giudice (Laboratorio Sociale Alessandria), Marco Bersani (Attac Italia), Francesco Paone (Spazi sociali Reggio Emilia), Nicola Scotto (Laboratorio Insurgencia – Napoli), Roberto Musacchio (Transform Italia), Flavia Roma (Esc Atelier Autogestito), Angela Bitetti (Casale Garibaldi), Thomas Müntzer (Communia), Alberto Campailla (Nonna Roma)