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Istantanee dalla TAIGA: solidarity

Oggi è l’ultimo giorno, forse quello più caotico. Il tempo veloce della vita quotidiana si insinua nel calmo spazio della TAIGA. Sembra che ci sia ancora tanto da dire per le poche ore rimaste prima di doversi salutare, almeno per il momento. Tra le ultime pratiche burocratiche da completare, gli zaini da sistemare e i tanti caffè, ci ritroviamo di nuovo nel bunker. L’interrogativo di oggi mette insieme quelli dei due giorni passati: siamo ancora in grado di creare solidarietà tra diverse identità collettive? E’ possibile superare i limiti imposti dalle pesanti identità nazionali, pur tenendo conto della materialità della storia che viviamo? 

Valeriia e Varia ci raccontano di Platform TU, un collettivo artistico attivo dal 2016 di base a Mariupol, composto da persone queer rifugiate dei territori occupati del Donetsk, Lugansk e Crimea. Il loro più recente progetto “Decom” riflette sulla nostalgia sovietica, sul passato comunista e sul cosiddetto processo di “decomunizzazione” in Ucraina, con un lavoro sul simbolismo e la propaganda comunista. Attraverso la rielaborazione di testi, poesie, inni, immagini della tradizione ucraina, le artiste mirano a esplorare le molteplici identità del paese e della città di Mariupol, utilizzando ironia e paradosso per smascherare i problemi sociali della città di confine e disassemblare le narrazioni conservatrici e militariste. 

Ci rendiamo presto conto della linea di continuità con le riflessioni sull’arte svolte nei giorni scorsi. Le forme artistiche con cui interagiamo oggi sembrano avere quel “di più” rispetto al mero elemento emotivo o scioccante delle fotografie di guerra. Le zine create da Platform TU, oltre a suscitare emozioni, raccontano una storia, come fossero istantanee che permettono di catturare frammenti di identità e di vita vissuta.

Quel “di più” lo ritroviamo non solo nelle creazioni artistiche, ma anche nel processo. Come ultimo laboratorio, le facilitatrici ci chiedono di rompere i gruppi  e le geometrie nazionali e di  mescolare le nostre identità individuali e collettive, in una pratica che metta insieme elementi visivi e parole. Dobbiamo produrre una zine che esplori il significato e le forme della solidarietà. Ci accorgiamo presto che il lavoro manuale e la riflessione corrono paralleli: ritagliando e incollando, si dialoga su temi che vanno dalla crisi climatica all’idea di europa. L’arte fa da mediatrice: la zine si trasforma in un atto creativo che attiva parti diverse del cervello per immaginare soluzioni inedite, in grado di superare i dilemmi insolvibili e le questioni di principio. Queer diventa il metodo attraverso cui scrivere una storia complessa, non appiattita su un’unica prospettiva, in grado di creare sinapsi, connessioni e alleanze nuove.​​​​​​​

Alcune parole riecheggiano nei vari angoli della common-zine: “feed”, “care”, “common values”, “freedom”. La solidarietà diviene una pratica, un esercizio fisico non solamente proclamato, che si oppone all’individualismo rassegnato. C’è inoltre un’altra somiglianza tra i collage: due presentano  la stessa foto di un graffito che recita “no future”, mentre al centro di un terzo troneggia la a frase “In this business either you’re a sexy alien or you have no future”. Il futuro è un tema ricorrente, probabilmente perché nella ricerca di solidarietà la posta in gioco è la possibilità di averne uno comune. Forse la soluzione migliore è essere tutte dei “sexy aliens”, imparare l’importanza dell’essere difformi e multiformi e di poter dire, davanti all’imperativo di lavorare ed essere produttive: “Fuck all this, take a nap!”

Essere multiformi vuol dire anche saper ascoltare senza preconcetti prima di voler stabilire quale sia la “realtà dei fatti”. Così il nostro viaggio si chiude con un richiamo alle premesse che ci hanno spinte a far parte di questo progetto: voler ascoltare, vedere, conoscere e creare nuovi legami e reti.​​​​​​​ Tre giorni non sono sufficienti per sviluppare tutto quello che è emerso, ma sentiamo di aver fatto un primo passo importante per incanalare tanti dei nostri ragionamenti verso nuove pratiche e immaginari. Nel frattempo, ci prepariamo ad accogliere TAIGA nelle nostre città e continuare questo viaggio di scoperta collettiva.