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Istantanee dalla TAIGA: collectivities

Something becomes real – to those who are elsewhere following it as “news'”– by being photographed. But a catastrophe that is experienced will often seem eerily like its representation.

(Sontag 2004,19)

Il secondo giorno il tempo ha rallentato, ci siamo svegliate con calma. Al piano terra abbiamo fatto colazione mescolandoci nei tavoli con le altre partecipanti. Chiacchieriamo assonnate, godendoci i raggi che illuminano la terrazza. Poco dopo ci riuniamo nella sala riunioni al piano -1. Caustica, una delle partecipanti ucraine fa notare come si senta stranamente sicura a stare sotto terra. L’atmosfera di un bunker protetto in cui potersi raccontare senza paura di giudizi affrettati.  

L’identità continua ad essere il filo rosso che attraversa la nostra discussione. Oggi però aggiungiamo un altro tassello, riflettendo su come l’identità nazionale in alcune circostanze, come la guerra, interferisca con quella individuale e collettiva. Il gruppo ucraino si prende spazio nella discussione, trasformandola in un momento in cui raccontarsi ed essere ascoltate. Si apre una complessa e a tratti sofferta riflessione sulle innumerevoli contraddizioni che l’identità nazionale e la guerra hanno prodotto urtando le altre identità che caratterizzano l’esistenza e i valori di un’attivista femminista: “E’ possibile accettare i compromessi che un momento di emergenza ci impone di assumere? Quali valori si è disposte a ridiscutere per fare i conti con la materialità del reale?”

Utilizzare la violenza, desiderare la morte del proprio nemico, combattere al fianco di connazionali che si è sempre visti come opponenti politici e supportarne la lotta perché medesima alla propria. Questi sono solo alcuni dei dolorosi compromessi che le compagne devono decidere se accettare nella dura realtà del conflitto armato. Nella grande confusione e fatica di questi mesi, una sempre più vivida consapevolezza emerge dalle loro parole: “Il mondo non è bianco o nero, ma le circostanze ci costringono a scegliere da che parte stare”. Inoltre, ci tengono a dire di non voler eludere il problema, che accettare il paradosso della guerra non è per sempre. “A queste contraddizioni ci dobbiamo pensare” affermano, “ma siamo consapevoli che il momento non è ora, nell’emergenza. Il momento più duro verrà al termine dell’invasione, quando dovremo fare i conti con quegli eroi di guerra che lottano per rafforzare nazionalismo, patriarcato e sfruttamento”. 

Purtroppo il tempo è tiranno e dobbiamo interrompere il flusso di riflessioni, ripromettendoci di riprendere la discussione in una delle prossime sessioni. Interagire con la realtà vissuta dalle attiviste ucraine non è semplice, anche se sentiamo sia fondamentale non lasciarle sole in questa grande sfida che ci impone di mettere in discussione le nostre identità, appartenenze e valori. Prima di pranzo, lasciamo il “bunker” e ci muoviamo in gruppo verso il bosco che circonda l’hotel. Ci dividiamo in piccoli gruppi, passeggiando e raccontando cosa significa per noi “solidarietà”, quale sia la sua funzione, come si possa costruire e quali siano i rischi di una sua “falsa” manifestazione. Camminiamo circondate da alberi, muschio, foglie secche, uccelli e lucertole, immerse in un complesso ecosistema di mutuo supporto tra diversi esseri che convivono e si adattano per garantire la  sopravvivenza propria e del sistema tutto.

Partendo da questo ecosistema raccogliamo piccole parti, le ibridiamo con gli strumenti tecnologici che abbiamo con noi e costruiamo rappresentazioni dei vari aspetti della solidarietà, da cui emergono spunti e difficoltà. Si parla di una solidarietà solida, ma che necessita di fluidità, una fluidità che inevitabilmente porta caos e contraddizione. Si parla di solidarietà interspecie e di cura, delle spine che usiamo per difenderci e difendere come forma di solidarietà, della vita senza solidarietà che, dove esiste, verte inevitabilmente verso l’individualismo.

Camminando ci interroghiamo anche sul ruolo delle immagini in contesti di guerra, di quanto siano in grado di raccontare la violenza e suscitare empatia o, piuttosto, se non facciano altro che appiattire la narrazione, eludendo la complessità, le relazioni di potere e la vita delle soggettività coinvolte. Le partecipanti ucraine ci raccontano di come si siano presto rese conto che il piano emotivo non è sufficiente per creare solidi ponti di solidarietà e supporto con chi la guerra non la sta vivendo. Come ci mostrano le crude immagini che arrivano dal cuore del Mediterraneo, al dolore degli altri ci si abitua facilmente. Si finisce per percepirlo come un qualcosa di astratto, lontano e vissuto da un soggetto con il quale non si riesce ad empatizzare. Se però quel “nessuno” acquisisce un volto, una storia, dei sogni e delle rivendicazioni – magari comuni alle proprie – allora la “catastrofe” diventa una bruciante ingiustizia contro cui opporsi.

Stanotte c’è la luna nuova, quella che porta abbondanza e buona fortuna. Dopo cena, al calar della notte ci riuniamo nel bosco intorno ad un fuoco. Scriviamo su dei piccoli biglietti di carta i nostri desideri di abbondanza e li gettiamo nelle fiamme, sicure che la giovane luna ci ascolterà e sarà generosa.