Camminando per le strade di Kyiv incontriamo Petr, con lui c’è Irina, ha 17 anni. Quando è scoppiata la guerra ne aveva 16. Pochi giorni dopo il 24 febbraio è fuggita in Polonia. Immediatamente ha coniugato il suo attivismo nei movimenti climatici con la situazione che stava vivendo. Per diverso tempo invece che frequentare la DAD ucraina si è unita alle/agli attivist* di FFF polacch* e con loro si è trovata varie volte di fronte ad Ursula Von Der Lyen per chiedere che l’Europa smettesse di comprare il gas dalla Russia.
Con lei parliamo delle problematiche ambientali che c’erano prima del conflitto e di quelle legate alla guerra. Dice che dopo gli attacchi alle centrali nucleari e la perdita della centrale di Zaporižžja l’idea di una de-centralizzazione dell’energia non è più così naif. Questo inoltre è uno dei motivi che la sta portando ad avvicindarsi a Sotsialniy Rukh. Lottare per decentralizzare l’energia attraverso le rinnovabili sarebbe per lei una battaglia contro il potere degli oligarchi che controllano le centrali e le miniere. La lotta contro gli oligarchi – aggiunge – è quella che la gente capisce.
Da quando Irina è tornata a Kyiv, due settimane fa, la città vive una calma apparente. Ci dice che il tentativo dei russi di piegare la popolazione con i bombardamenti mirati alle infrastrutture della città ha fallito. Ma lei non è serena, ha paura che i bombardamenti riprendano anche sulla capitale. Tutto dipenderà da cosa accadrà al fronte. In primis, un’eventuale contro-offensiva ucraina che potrebbe, come spesso è accaduto, determinare una ritorsione russa con lancio di missili sulle grandi città.
Questa quiete per lei è strana, le ricorda i giorni prima dell’inizio della guerra. Un’intera città in “apnea” e che si auto-convinceva che non sarebbe successo nulla. E poi, in poche ore, catapultat* nei rifugi dove era difficile reperire informazioni su dove fossero i russi. I nemici potevano essere da ogni parte. Dal 2014 una parte della società ha potuto seguire gli sviluppi della guerra russo-ucraina e quindi, forse, prepararsi in qualche modo all’attacco su larga scala, ma la maggior parte delle persone fino al giorno prima non si aspettava che ciò sarebbe successo. Per questo dall’inizio del conflitto lei, come tutte le persone che abbiamo incontrato, ogni giorno è aggiornata su ciò che succede al fronte. Controlla le chat, le app per gli allarmi aerei, legge le notizie sui social e online.
Oggi la città è inevitabilmente più pronta ad un eventuale attacco, ma le sensazioni provate in questo anno di guerra sono ancora impresse nel corpo.
Irina è molto giovane ma meglio di tanti altri ci chiarisce che war & everyday life sono un rapporto, non un elemento statico, e che in questo rapporto non si può restare immobili. Irina sta praticando il diritto al ritorno dopo essere stata sfollata all’improvviso. Le parole che usa per parlare del suo esodo e della condizione di rifugiata sono di solidarietà con i/le migranti. Al confine tra Polonia e Bielorussia ha visto come vengono trattate le persone che fuggono da altri paesi, bloccate e abbandonate come bestie nelle foreste gelate. Riconosce di avere una posizione privilegiata nella possibilità ad accedere e muoversi in Europa. Tuttavia questo non le impedisce di affermare la necessità di allearsi con chi questo privilegio non lo possiede. Si rivela molto critica verso un’Europa che si definisce solo in opposizione a ciò che è altro da sé. Detto da lei, questa affermazione acquista ancora più forza.
Non vuole restare con le mani in mano, e questa volta non vuole più nemmeno subire ed essere sfollata. Studia per diplomarsi a giugno con dei buoni voti per poi poter entrare in università e ricevere la borsa di studio. Imparare nuove cose è per lei il modo per appropriarsi del processo di trasformazione epocale del pianeta e per poter sognare.