Dopo il 22 settembre esprimiamo innanzittutto solidarietà e vicinanza a tuttx gli/le arrestatx, liberx tuttx subito!
Con la giornata di lunedì facciamo i conti con un dato numerico straordinario, reso possibile dall’uso diffuso dello sciopero indetto dai sindacati di base da parte di tante lavoratrici e lavoratori sindacalizzati e non, studenti e studentesse, precarx, cittadinx, tuttx unitx per chiedere la fine del genocidio a Gaza e dell’occupazione in Cisgiordania.
Una moltitudine ha riempito piazze di convergenza, dove si è praticato un vero sciopero metropolitano, attivo ed efficace: porti, stazioni e strade rimaste bloccate per ore fanno davvero male al potere. Questo sciopero sociale è stato un sassolino nell’ingranaggio del comando, nella propaganda sionista e nella gestione autoritaria della svolta epocale in cui ci troviamo, un elemento di pressione importante ma non sufficiente per fermare il genocidio. Ha dimostrato che le strade e le piazze possono ancora riempirsi e ha generalizzato il concetto di efficacia dell’iniziativa politica: blocchiamo tutto!
Sappiamo che uno dei gangli centrali dell’economia contemporanea è il terreno del digitale: in futuro per aumentare questa nostra forza dovremo essere in grado di bloccare anche le reti digitali del capitale. E’ proprio su questo che si misurerà ancora di più l’efficacia quando torneremo in massa in piazza nelle prossime settimane, con la nostra capacità lavorativa digitale di costruire lotta e trasformazione.
Intanto, la riduzione degli spazi democratici è già realtà. Il nostro Governo lo fa con il Decreto Sicurezza e con l’insieme di norme già approvate o in discussione – come il Chat Control – che ci proiettano fuori dalla stessa democrazia liberale. A questo non può che opporsi una risposta conflittuale e radicale, capace di aprire nuovi spazi di democrazia.
Con il genocidio a Gaza, con le guerre e le guerre civili permanenti, il Capitale sta ricostruendo il proprio comando. Governi come il nostro sono lì per fare i cani da guardia di un processo più grande di loro. La loro priorità è governare la transizione con ordine e disciplina, reprimere la solidarietà e difendersi da qualsiasi possibilità di insubordinazione. Ma questa volta, se le carte iniziamo a darle noi, se bloccano la Flottilla, se… Di certo non è più tempo di stare a guardare un genocidio in diretta streaming e con esso la riduzione degli spazi democratici. È tempo di organizzarsi con modalità all’altezza della sfida per attraversare movimenti ampi, diffusi e globali che sono mai come oggi possibili e necessari, a partire da quelli per una Palestina libera.
Nei prossimi giorni, intanto, l’attacco israeliano a Gaza e la sorte della Global Sumud Flotilla segneranno nuove tappe: devono essere settimane di lotta e convergenza, di mobilitazione e pressione, dalle università ai luoghi di lavoro e di vita. Non scioperiamo certo per pietà, ma per fermare il meccanismo che alimenta il genocidio in Palestina e queste nuove terribili forme di sfruttamento della vita del capitalismo oltre-umano.
L’artista Sean Kuti ha suggerito a tutte le persone europee che per supportare la liberazione della Palestina serve innanzitutto liberare l’Europa. È tempo di prendere sul serio queste parole, intervenendo nelle fratture di un’Europa che appare sempre più inesistente, trasformata in terreno di conflitto e in economia di guerra senza politica.
Non dobbiamo fermarci, costruiamo le prossime tappe di mobilitazione:
- 4 ottobre: a Bologna facciamo come in Spagna, blocchiamo il Giro dell’Emilia contro la partecipazione della squadra ciclistica Israel Premier-Tech
- 14 ottobre: a Udine contro la partita di calcio Italia–Israele
- se bloccheranno la Global Sumud Flotilla, bloccheremo di nuovo tutto
- Lavoriamo all’obiettivo di un grande sciopero generale che blocchi l’Italia per un’Europa contro il genocidio e contro l’economia di guerra. Se tutti i soggetti sindacali, politici e sociali si metteranno a disposizione, allora avremo davvero un’agenda di lotta.
Se…se.. impariamo il ritmo insieme.
La musica deve farti ballare ma anche pensare; tirarti fuori da una cattiva vita cercando di fartene immaginare una migliore. (Fela Kuti)