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Guida galattica per europeisti

1. Resistere nella guerra civile globale permanente

Siamo in una nuova era. L’abbiamo chiamata Oltre Umano. Usiamo Oltre per definire la necessità di liberarsi da ogni continuità ed affrontare di petto il presente. Il capitalismo del presente, sintetizzato dalla foto di Musk e Trump, è il capitalismo dell’oltre umano che si affianca all’oltredemocrazia. Link: L’Oltre umano / Capitolo terzo

In questo quadro d’insieme, che chiaramente bisogna continuare ad indagare, il tempo dell’impero a guida americana, unilaterale, è definitivamente finito. Vecchi e nuovi imperi, quelli che primeggiano tra sottosistemi privati e pubblici, vogliono affermarsi come unici depositari della storia, calpestando territori, comunità, popoli, soggetti – l’intero pianeta se ce n’è bisogno. Velocità e ferocia segnano dall’alto il presente, il tempo di quella che abbiamo definito guerra civile globale permanente in cui siamo immersi.

Per affrontare questi tempi difficili abbiamo scelto di affermare alcuni concetti che ci sembrano fondamentali per non soccombere alle barbarie o essere condannati al ruolo di spettatori, capaci solo di balbettare di fronte al caos. Da qualsiasi parte ci giriamo, vediamo un tentativo di affermare che la storia può essere scritta solo dall’alto, dai potenti. Come se qualsiasi forma di autonomia dal basso, dei soggetti, dei popoli, delle comunità, di classe, sia destinata a non poter contare, a non avere voce. Ma non è cosi. In Palestina, in Rojava, in Ucraina, in molti altri posti che non fanno notizia, comunità, popoli e soggetti praticano il diritto di resistenza, pur tra mille contraddizioni che non si possono nascondere e bisogna affrontare. Sono il terzo incomodo in uno scacchiere in cui a muovere pedoni, alfieri, cavalli, re, regine dovrebbero essere solo i giocatori autorizzati dal loro ruolo di potenza nel capitalismo dell’oltre umano.

Affermato il diritto di resistenza come concetto chiave, sta a noi, alla nostra capacità critica, capire con quali comunità, popoli, soggetti vogliamo condividere fino in fondo le nostre lotte per un futuro collettivo di diritti e libertà. Opporsi radicalmente a ogni autoritarismo, oscurantismo, despotismo – insomma al giogo di pochi su tanti – è parte fondamentale delle nostre lotte mentre affermiamo che la democrazia dei conflitti è il campo di azione in cui vogliamo lottare per costruire l’altro mondo possibile. Una democrazia, cioè, che implica come suo presupposto imprescindibile il conflitto sociale, senza cui non ci sono possibilità di cambiamento. In breve: perché una società sia definita democratica, il conflitto deve essere connaturato a essa.

Diritto di resistenza e democrazia dei conflitti sono i concetti che ci possono aiutare a non cadere nella tifoseria o nell’immobilismo.


2. Dare respiro ad un percorso costituente per l’Europa politica, la nostra rivoluzione

In questi giorni si è riaperta la discussione sull’Europa, a partire dal diritto di resistenza praticato in Ucraina per rispondere all’avanzata militare del despota Putin. Noi viviamo in Europa, non possiamo far finta di niente, come abbiamo già affermato con la ricerca aperta sul matriottismo europeo. Link: Per un “matriottismo” europeo

Il tema va affrontato di petto, andando Oltre i luoghi comuni.

L’Europa come Europa politica oggi non c’è. Per costruire l’Europa come spazio politico c’è bisogno di aprire un percorso reale che abbia una forma Costituente. Per questo diciamo che la nostra rivoluzione non può che affondare le sue radici nella battaglia per un’Europa politica, che non è certo l’Europa che c’è adesso. L’ Europa che abbiamo di fronte – l’abbiamo già detto in tante piazze – è solo mercato, interessi capitalistici, sovranismi inaccettabili. Questa Europa non solo non ci interessa ma continueremo a combatterla.

Di fronte agli avvenimenti che stanno accadendo non vogliamo stare zitti ed essere spettatori. Siamo consapevoli che quando diciamo che vogliamo l’Europa politica e che questa è la nostra rivoluzione dobbiamo attrezzarci per una lotta lunga e complessa, non per una passeggiata veloce con due slogan scritti su uno striscione.

Per sgomberare il campo da ogni dubbio, non ci interessano e anzi vanno contrastati tutti i discorsi che altro non sono che meri aggiustamenti in chiave di governance dell’Europa attuale. Le proposte di soldi per armare l’Europa attuale non sono altro che il mantenimento dell’esistente, cioè guadagni dell’industria bellica e interessi che di certo non sono i nostri.

Affermare l’Europa politica significa contrastare gli aggiustamenti guidati da von der Leyen, dalla cricca dei tecnocrati e dai suoi sponsor, e vuol dire anche superare l’opposizione che a parole è contro le spese militari e a favore di quelle sociali, ma quando ha governato e governa ha ampiamente dimostrato che la difesa del benessere collettivo non fa più parte della sua agenda. D’altronde il tema della gestione dei confini trasformati in galere, luoghi di tortura e di morte, e quello dei diritti calpestati dei migranti, la dice lunga su tutti quelli che vogliono che l’Europa resti com’è: se governi chiudi le frontiere, se stai all’opposizione urli contro chi le chiude o chiedi che vengano chiuse ancora di più – i ruoli sono interscambiabili.

Senza un progetto di trasformazione radicale dell’esistente non basteranno le armi per resistere al progetto politico espansionistico putiniano; questo timore esiste anche in Ucraina, pur continuando legittimamente ad apprezzare il supporto armato da chiunque provenga. L’attuale assetto di potere europeo non ha la forza politica di reggere e garantire: sintomo ne è l’assenza di coraggio nel rompere definitivamente il blocco occidentale a guida Trump-Musk e schierarsi dal giusto lato della storia nel contesto di guerra civile globale permanente. La parte liberal-progressista del capitalismo attualmente al comando in Europa rischia seriamente di fare anch’essa il cambio di casacca come è successo in USA. Il capitalismo dell’Oltre umano oggi, lo abbiamo detto, preferisce andare a braccetto con la destra estrema. È questo il tempo di gettare le basi per la nostra rivoluzione.


3. La nostra Europa politica

La nostra Europa politica è quella della fine degli stati nazionali per un’unica forma federata di autonomie locali e municipali. È quella dei diritti reali, dell’immaginazione fatta realtà, safe, common & green. Ed è un’Europa senza miliardari in cui le disuguaglianze estreme vengono colpite immediatamente, grazie al conflitto dal basso e all’azione congiunta e confederata dall’alto. Solo in una Europa politica a questo livello si potrà affrontare anche un concetto adeguato di difesa comune.


4. Europa, una storia di lotte e di diritti in tensione contro la saldatura tra forze di estrema destra e capitalismo Oltre umano

L’Europa non è uno spazio astratto. È stata ed è attraversata dalla costante tensione tra lotte per diritti, libertà e una vita libera dalla schiavitù del lavoro, da un lato, e l’incessante modificazione delle forme di sfruttamento capitalista in nome dei profitti di pochi, volte a sconfiggere ogni insubordinazione, dall’altro.

Questa è la tensione che dobbiamo analizzare. Ma facciamo un passo indietro.

Alle lotte degli anni Settanta che mettono in crisi il fordismo e conquistano nuovi diritti, il capitale risponde con il post-fordismo e la post-modernità, fatte di precarietà e insicurezze. La valorizzazione capitalista si sposta sul piano globale: la globalizzazione è presentata come panacea di ogni male. Si apre il tempo dell’impero ad egemonia americana, della democrazia come valore da esportare a suon di guerre, delle istituzioni internazionali come propulsori e garanti del nuovo ordine mondiale guidato ed applaudito dalle forze cosiddette liberal e democratiche. I movimenti radicali dell’inizio degli anni duemila fanno propria la dimensione globale, forzando il tema dei diritti: se le merci circolano libere devono circolare liberi anche gli esseri umani, e i diritti reali devono essere in ogni luogo.

Il capitale prova a governare i processi di sfruttamento dell’intero pianeta con la crescita della finanziarizzazione delle filiere globali dei profitti. Denaro che produce denaro: non importa dove, da chi e come viene prodotto. È in questa ingordigia di guadagni che nuovi e vecchi poteri, stati ed entità private, laiche e religiose sfidano su differenti piani – da quello commerciale a quello militare – l’egemonia americana. L’attentato alle torri gemelle è l’iconica immagine del nuovo tempo.

Da qui inizia la lunga marcia delle forze di destra in ogni dove. Si muovono in maniera ibrida per stare a pieno titolo nella globalizzazione dei mercati sempre più guidati da algoritmi finanziari, e contemporaneamente si muovono per organizzare le plurime forme di malcontento contro una proposta politica, quella della cosiddetta sinistra, che accompagna alla mera evocazione di diritti una condizione generale di peggioramento della qualità di vita del presente individuale e collettivo. In questo processo, la reazione patriarcale è stata centrale: il blocco conservatore ha costruito il proprio consenso anche sulla promessa di restaurare un ordine rigido, fatto di confini, gerarchie e ruoli immutabili.

Nell’oggi le forme di capitalismo globalizzato, finanziario, algoritmico sono attraversate da nuove forme di capitalismo oltre l’umano, in cui l’intelligenza artificiale, la bioingegneria e la gestione automatizzata delle risorse ridefiniscono il concetto stesso di produzione, valorizzazione e riproduzione. La destra sconfitta, quella che si è sentita umiliata dalla politica dei diritti, quella che alla fine della modernità ha iniziato a dare vita a un blocco conservatore che attraversa Stati e continenti, oggi è diventata protagonista ovunque. Il legame tra il nuovo capitalismo e le destre estreme è sotto gli occhi di tutti.

Dentro questa trasformazione, le lotte in Europa non possono limitarsi alla resistenza: devono reinventare strumenti, linguaggi e pratiche per aprire nuove possibilità di liberazione. Questo scontro investe tanto le battaglie per i diritti quanto le culture di pace del continente, che non possono restare chiuse nelle proprie identità rassicuranti. Riconoscere la legittimità della resistenza e la democrazia del conflitto è oggi una necessità: altrimenti scompariamo travolti dalla stretta repressiva – come dimostrano misure come il DDL Sicurezza – e si dissolve ogni garanzia di pace che non sia una concessione del potente di turno. Sottrarsi a questo campo di lotta non è un’opzione.


5. Costruire la trama dei conflitti presenti in Europa

Se un percorso costituente per l’Europa politica prenderà avvio proprio in questa fase concitata, solo gli eventi e l’intelligenza collettiva potranno dirlo.

L’Europa politica è uno spazio di possibilità che dalla pandemia in poi non ha smesso di aprirsi e richiudersi. Ma ora le tensioni interne all’Europa sono così acute che la sua apertura è divenuta quasi quotidiana. Sta ad un largo e collettivo Noi cercare di forzarne l’apertura e renderla perpetua, con tutte le lotte che vorranno collocarsi su questo terreno, per scelta o per necessità. L’Europa politica è dunque un campo di lotta e proposta da agire fin da subito. Un terreno di contesa, al cui interno si scontra di tutto. Un contesto in cui le proposte migliori e le nuove forze sociali possono soppiantare quelle forme stanche e attaccate a vecchie forme di potere e sfidare le nuove forme del potere del capitalismo oltre umano.

In Europa, le forze all’altezza della sfida a Trump-Musk, Oltre l’Europa attuale, si trovano dalla parte della democrazia e della lotta a tutti i sistemi patriarcali. Ma nuove forze vanno cercate nel cuore, e alla base, delle nuove forme di valorizzazione oltre l’umano: professionismo digitale, scienza, studio delle tre dimensioni (territoriale, spaziale, digitale). Un progetto europeo si costruisce con esse perché qui esse sono innervate di posizioni partigiane contro il modello Musk-Trump: giovani abituati a circolare per l’Europa; Climattivismo radicale; sistemi informatici comunicanti e aperti; condivisione della conoscenza scientifica; facoltà in lotta ad ovest, ma soprattutto a est; giovani che spingono in Georgia vedendo nell’Europa uno spazio democratico e giovani serbi che seppur non all’interno dell’UE sono per noi d’esempio per le mobilitazioni universitarie; tanto altro ancora tra cui, ovviamente, le resistenze contro tutti i soprusi che la stessa UE ha prodotto.

Dai municipi agli spazi online esiste in Europa una rete di resistenza che attraversa dimensioni politiche, sociali, culturali e tecnologiche, ibrida nel costruire strumenti per la trasformazione. Ed è proprio qui e ora, nel campo di lotta per l’Europa politica, che questa rete può riconoscersi.

In questi giorni in cui tutto il mondo parla di una Europa politica che non c’è, è tempo di muovere la nostra ipotesi. Le tensioni si sono messe in moto all’interno dei singoli Paesi. In Italia ridurre il problema a Calenda o alle posizioni del PD significa semplicemente evitare di affrontare il problema storico. Eppure, anche il dibattito italiano di questi giorni mostra che, una volta messo in moto, questo spazio può far emergere le tante contraddizioni assopite e messe al sicuro in qualche ganglio dell’attuale sistema UE.

Proviamo a immaginare questa tensione su scala continentale. Lo scontro che apre. Lo spazio di mobilitazione che crea. Se le sue istanze sapranno essere forti, non si rivolgeranno più a un piccolo parlamento nazionale corrotto, attaccato al potere e, in molti casi, autoritario e di destra, ma lotte che, grazie alla mobilitazione, potrebbero avere la forza di riconoscersi in un nuovo spazio costituente. Pensiamo che l’iniziativa vada agita su questo terreno, e che vada fatto in maniera quanto più ruvida e diretta.

L’imprevisto è alle porte. La rivoluzione torna ad essere una parola del nostro vocabolario, senza retorica e senza nostalgia.


6. Lottare per l’Europa politica: qualche slogan può servire

È tempo, dunque, che questa tensione venga aperta dall’interno e non per la pressione armata esercitata da altri.

È tempo di chiudere tutte le basi americane sul territorio europeo. Una difesa comune passa da azioni come questa, più che dal riarmo delle nazioni.

È tempo di affermare una resistenza politica dell’Europa alla deriva autoritaria globale e farlo in solidarietà con percorsi analoghi in tutto il mondo.

È tempo di colpire modelli oligarchici, accumuli di ricchezza nelle mani di pochi, ostentazione di questa ricchezza. L’Europa non è terra per miliardari.

È tempo che l’Europa politica venga agita in particolar modo dai movimenti sociali, dalle lotte e da chi lavora, vive e circola nel continente, comprese le migliaia di migranti che già innervano il tessuto sociale e politico dell’Europa, ma sono vincolati a stare in una piccola nazione che molto spesso li odia e li maltratta.

È tempo di immaginare alternative e di metterle in contatto: dai municipi all’Europa, costruire un nuovo progetto politico federativo e difenderlo.

È tempo di stare dal lato giusto della storia. Di farlo con pratiche efficaci e in tanti luoghi diversi.

L’Europa politica ha iniziato a muovere i suoi passi? Dipende da noi e non solo da noi. Indietro, ne siamo certi, non si tornerà.