Bologna, 22 Novembre 2025. Il mercato di piazza VIII Agosto si svolge con regolarità, le vie del centro sono attraversate e, come sempre in questi mesi, la città è in costante attesa per la rimozione dei cantieri e l’inaugurazione del Tram. Il tutti contro tutti è online, mentre in strada il conflitto è stato bidirezionale, lo stato contro la protesta, la protesta contro l’apparato ideologico e repressivo dello Stato dispiegato alla massima potenza – la protesta contro l’ingiustizia che si voleva nascondere dietro una scenografia di 500 agenti, mezzi blindati, lacrimogeni, idranti, tv e social mobilitati.
Così d’altronde avviene in ogni parte del mondo. In Nepal il giorno dopo la rivoluzione lampo i rivoluzionari sono andati a risistemare le strade. Ma diciamoci la verità, a Bologna ieri non ce n’era veramente bisogno.
Venerdì sera la città ha attraversato le sue strade. La piazza era molto più grande del previsto. In tanti e tante immaginavano una partecipazione dimezzata, convinti che la militarizzazione preventiva avrebbe schiacciato il desiderio di esserci. E invece le strade si sono riempite.
Se non fosse successo nulla, se Bologna fosse rimasta ferma, avrebbero vinto Piantedosi e Meloni. Il loro obiettivo era chiaro: silenzio, controllo, una città resa docile dalla paura. Invece è accaduto il contrario. Dentro l’apparato repressivo dello Stato migliaia di persone hanno scelto di non piegarsi. Hanno preso una posizione chiara contro i crimini che Israele continua a commettere in Palestina; hanno rifiutato l’ordine del silenzio; hanno mostrato che la città non è un contenitore neutro ma un terreno vivo di conflitto.
Lo spezzone delle Polisportive Popolari, animato da tante realtà che stanno costruendo la convergenza sociale “Contro i Re e le loro guerre”, lo ha detto chiaramente: lo sport non è una faccenda neutrale e l’imposizione di giocare questa partita non era accettabile.
Il conflitto è stato politico, intelligente, determinato. Non ci sono state le devastazioni che farebbero rendere per lo meno comprensibili le dichiarazioni del day after, dal Sindaco alla destra di governo. Siamo realisti, l’online conta, ma distogliamo per un secondo lo sguardo dallo smartphone. L’unico prezzo che ha pagato la città è stata l’occupazione poliziesca che ha preso in ostaggio Bologna, con le insensate chiusure di scuole ed attività, e l’imposizione della militarizzazione e di una vera e propria zona rossa. Il leitmotiv rilanciato dalla Questura su input del Ministero, tradisce la smania di fare politica contro chi incarna le tante forme del dissenso e dell’alternativa nelle città, ma anche il fastidio di non essere riusciti a ricondurre tutto ad una questione di ordine pubblico. Il re è nudo.
Questa giornata dice qualcosa che va oltre Bologna.
Nell’Europa attraversata da guerra, autoritarismo, confini e retorica securitaria, sta emergendo un livello nuovo: le città come luoghi di resistenza e di costruzione di un progetto comune. Non una retorica, ma un tessuto reale che cresce dalle lotte materiali e che inizia a riconoscersi come alternativa alla palude degli stati nazionali. Il silenzio non apre spazi: è attraverso il conflitto che diventano visibili le contraddizioni e si apre la possibilità di continuare a muoversi.
Le istituzioni cittadine e metropolitane non sono semplici copie dello Stato. Anche volendo non vi si riproducono le stesse dinamiche che si vedono in TV e gli stessi schieramenti dell’arco politico nazionale. Sono campi in cui si intrecciano “dialettica con”, “internità a” progetti civici, e “scontro con” le scelte istituzionali locali – come in questo caso. Ma è proprio per via di questo intreccio che rappresentano un terreno costituente, capace di rispondere alla stretta autoritaria e di immaginare una prospettiva politica ampia, non nazionalista, che circoli nelle città d’Europa.
Dopo una giornata come quella di venerdì, torna con forza la domanda su come, dentro i movimenti, possa circolare in modo esplicito il progetto politico di una federazione delle città europee, unico argine alla guerra, e per questo già terreno di un conflitto civile acceso.
L’aria libera delle città è ciò che ci fa intravedere, ogni volta, una vittoria possibile contro il potere di morte del nostro tempo. È un terreno concreto, che tiene insieme la lotta materiale per la redistribuzione della ricchezza con nuove forme di attacco al capitalismo oltre-umano. Un terreno ibrido, dove la purezza non è mai esistita e dove lo scontro in corso parla già di un mondo diverso. Sono queste le domande politiche dei Municipi Sociali, gli stessi Municipi – nuove istituzioni dell’autogoverno – che vengono attaccati da tanti fronti perché anomalia.
Anomalo è che la Questura decida di spostare esplicitamente il suo attacco sul terreno della politica mettendo in discussione gli spazi dei municipi sociali conquistati e radicati in città. La realtà è che proprio per questo i Municipi Sociali continueranno a rendere Bologna una città migliore e più libera.
Quella di venerdì è una tappa, non un punto di arrivo. Attraverseremo gli scioperi generali e il 29 Novembre saremo alla manifestazione per la Palestina a Roma insieme alle nuove convergenze sociali contro i Re e le loro guerre che si stanno facendo spazio nel paese e nei territori.
L’autunno continua, e con esso il lavoro collettivo per dare forma alla primavera.
Viva la libertà. Prima di tutto quella dei e delle prigionierx politicx e di Marwan Barghouti.
Municipi Sociali
