
Dopo le insopportabili immagini di arroganza di Trump e Vance nell’incontro con Zelensky nello studio ovale, gli incontri in Arabia Saudita con il gongolante principe Bin Salman, le foto di gruppo a geometria variabile dei vertici europei, la balbettante nascita della Coalizione dei volonterosi (che sembra più la Coalizione dei Litigiosi uniti solo dai loro interessi), finalmente con la telefonata tra Trump e Putin tutti sembrano tirare un respiro di sollievo: la pace si può fare.
Sul destino dell’Ucraina gli unici che nessuno perde tempo ad ascoltare sono gli ucraini stessi. Il terzo incomodo dà fastidio. Meglio se resta sullo sfondo. Come se le persone che hanno scelto di resistere da tre anni all’occupazione del loro paese non fossero soggetti protagonisti, capaci di fare delle scelte ma solo comparse nel gioco di quelli che contano davvero nel teatro del capitalismo dell’oltre umano nel tempo dell’oltre democrazia.
Per muoversi nel presente serve una Guida galattica per europeisti per non unirsi ai cori beoti che dissertano su Ucraina/guerra/pace senza neanche guardare al terreno, a quel che accade in Ucraina.
In questi giorni in cui tutti meno gli ucraini pare stiamo decidendo il destino di questo pezzo d’Europa, abbiamo scelto di risentire il nostro amico giornalista Ivan Grozny di ritorno dall’Ucraina.
All’inizio dell’anno Ivan Grozny ci aveva offerto uno spaccato vivido e diretto della realtà ucraina attraverso il racconto dei suoi numerosi viaggi nel paese. Inverno ucraino pt1 e Inverno ucraino pt2 sono le prime parti di una conversazione che restituivano un quadro crudo e complesso di ciò che stava accadendo.
Oltre a risentire Ivan consigliamo per essere vicini a quelli che abbiamo incontrato nei viaggi in Ucraina e di leggere interviste come quella di Francesca Barca che raccoglie le voci di chi ha scelto di resistere e continuare a lottare per un futuro radicalmente diverso.
Insomma continuiamo a preferire di stare con il terzo incomodo.
Buon ascolto.
Dialogo con Ivan Grozny
Sei appena tornato dall’Ucraina, ci puoi raccontare cosa si pensa dopo lo scontro allo studio ovale tra Zelensky Trump, Vance e alla luce di quello che sta succedendo internazionalmente sulla guerra?
Sono arrivato in Ucraina un paio di giorni dopo il famoso scontro allo studio ovale e le persone erano scioccate per come era andata tra il loro Presidente e quello statunitense. Molto scioccate. Da noi non è arrivato ma là si percepiva chiaramente come quello che era accaduto fosse realmente fonte di preoccupazione.
Nei giorni successivi all’incontro alla Casa Bianca fino a quelli della trattativa in Arabia Saudita ho visto che le persone sono molto spaventate. Si sentono abbandonate, oltre che usate.
Da noi non arriva ma l’ucraino medio si rende conto di essere una pedina nelle mani di altri e di essere in mezzo a un gioco più grande di loro.
Le altre volte che sono andato in Ucraina ho sempre visto i bombardamenti in città e fuori però questa volta erano più continui, non c’era mai una pausa. Sono stato un paio di giorni a Kharkiv e gli allarmi non li sentivi neanche più perchè erano talmente insistenti e frequenti che avresti dovuto stare sempre al chiuso.
Alla luce di ciò che hai visto e vissuto, ti vorrei chiedere: come riescono oggi gli ucraini a mantenere viva un’identità europea, mentre la guerra continua a isolarli e a impoverirli? E in che modo la crisi economica e le difficoltà della guerra si manifestano nella loro vita di tutti i giorni?
Insisto su un punto: gli ucraini non vogliono sentirsi parte di un mondo, quello dall’altra parte del confine, che li bombarda.
A noi sembra difficile definirli europei però loro si sentono così.
Se si va nei paesi europei limitrofi l’Ucraina, la Moldavia, la Georgia che è in piazza da 150 giorni o anche la Romania si percepisce che le persone guardano di qua, verso l’occidente a prescindere da tutto, proprio come stile di vita. Se si passeggia per Kiev e ci si dimentica delle sirene è una città che ricorda di più come stile di vita Parigi o una città tedesca che non una città sotto l’influenza russa.
Per parlare di come vive la gente bisogna iniziare con il dire che la vita è sempre più insostenibile. I prezzi sono peggiorati, la crisi economica è sempre più evidente. Il tutto può essere meno evidente nelle città come Kiev ma ad esempio a Odessa la condizione media è molto difficile. Si vedono scene che non ci si aspetterebbe di vedere. Persone che scendono per strada e vendono quello che hanno in casa come vestiti, elettrodomestici, libri ed altro. Questo colpisce perché Odessa non è una città povera e tendenzialmente viene descritta come una città in cui c’è benessere. E’ una città in cui il ceto popolare fino a poco tempo fa aveva la garanzia del lavoro, non era in sofferenza pur vivendo in quartieri tipicamente risalenti all’età sovietica con palazzi, condomini di migliaia di persone. Certo c’è una differenza tra questi quartieri e quelli del centro storico o vicino al porto dove vivono persone che hanno possibilità economiche maggiori. Detto questo, gli alberghi sono vuoti, le strade pure dall’imbrunire in poi e la mattina si vedono scene di persone che improvvisano mercati in cui cercare di vendere qualcosa: E’ un segno tangibile del fatto che le difficoltà colpiscono tutti e sono tante.
Spostandosi nei villaggi ci si rende ancor più conto di quale è la situazione reale.
C’è un aspetto di cui da noi si parla poco ma che sta venendo a galla ed è quello dell’inquinamento dei luoghi. E’ interessante che si inizi ad affrontare questo problema proprio quando si parla tanto delle terre rare quindi di estrarre metalli, operazione non certo indolore dal punto di vista ambientale. Tanti luoghi sono contaminati.
A Mikolayv non c’è l’acqua. Ho assistito alla distribuzione in villaggi della zona di sostanze che aiutano a ripulire l’acqua e a renderla potabile. Una procedura abbastanza lunga e complessa da farsi tanto più che stiamo parlando di acqua, una risorsa che serve in ogni momento.
Nell’oblast di Kherson, che Putin vorrebbe prendersi così come quello di Mikolayv, la situazione è molto difficile. I luoghi sono contaminati dalla presenza delle mine ma anche delle bombe esplose e inesplose.
C’è un’immagine che da noi non è arrivata ma che mi ha impressionato molto.
A metà marzo nel cielo di Odessa c’era una nuvola nera, che si vedeva nel cielo da ogni parte della città. Era una nuvola consistente, lunga chilometri e questo perché vengono bombardate le raffinerie e tutte quelle stazioni di fronte al porto che servono per lavorare i materiali appena arrivati come ad esempio il gas liquido, l’olio etc etc …
Sono danni molto grandi ed è un argomento che da noi non arriva ma lì, fidatevi, le persone lo sottolineano.
Chiudo con una cosa che può sembrare sciocca ma non lo è. La zona del confine che guarda alla Crimea dall’oblast di Mikolayv fino all’accelerazione del conflitto tre anni fa era il posto in cui le persone anche da altri paesi d’Europa andavano a raccogliere i funghi.
Pare una banalità rispetto ai problemi che ci sono però è chiaro che questa pratica non si potrà fare per un sacco di tempo. Quei boschi e quei territori sono minati. C’è la presenza di chissà quali sostanze che sono state liberate nell’aria perché si parla sempre di regole da mantenere in guerra perché ci sono delle convenzioni mentre invece sappiamo che sono discorsi che rimangono sul tavolo perché la realtà è ben altra.
Tutto questo è fonte di grande preoccupazione.
Dopo tre anni di guerra e in un contesto estremamente difficile, segnato da problemi quotidiani sempre più gravi, come viene percepita dalla popolazione ucraina la narrazione – diffusa soprattutto da noi – di una possibile “pace imminente” frutto di ipotetici accordi tra Trump e Putin?
In Ucraina non sentirai nessuno parlare di pace. Sentirai parlare di congelamento del conflitto. Secondo me questo è il termine esatto.
Nessuno dice che c’è la pace. Da noi passa questo concetto perché ci viene utile, è comodo, ci rasserena e ci rassicura perché in fondo tanto a morire sono altri. Ma là di pace io non ne ho mai sentito parlare.
A Posad Pokrosvote ho intervistato la sindaca, che era vicesindaca, ma dalla morte in guerra del sindaco ufficiale svolge la sua funzione. E’ un villaggio sviluppato in un’area rettangolare non vastissima con alcune centinaia di case, tutte molto piccole e belle. Mi ha fatto vedere delle immagini molto forti di quando il villaggio è stato attaccato. Un terzo delle case sono state distrutte, i tank russi hanno attraversato la via principale e hanno fatto dei danni che ho potuto vedere di persona.
Qui come altrove gli ucraini hanno ricostruito in fretta. In un villaggio come questo, dove abitano 650 famiglie e 250 rimangono senza casa, si pone immediatamente il problema di dove mettere le persone che non hanno più niente e scatta una grande voglia di aiutare, di fare solidarietà. La solidarietà deve essere accompagnata da azioni e loro si organizzano, agiscono. Quando vado nei villaggi vedo sempre scene di uomini e donne che lavorano, spostano le pietre, fanno muri e lavori anche lunghi.
Entrare in sintonia con la sindaca di Posad Pokrosvote non è stato semplicissimo visto che le mie domande erano errate nel senso che le stavo facendo dal punto di vista di come noi vediamo le cose e quindi lei si è irrigidita. Sapevo che sarebbe successo, ma volevo fare una prova per avere la conferma di come sia diversa la percezione là e qua della realtà.
La sindaca mi ha detto: “che pace posso fare con uno che che mi ha fatto questo”, facendo scorrere sul telefono i video del bombardamento del villaggio. Come darle torto?
C’è poi un altra vicenda di cui da noi si parla poco. Si tratta della questione dei bambini spariti. Putin è stato condannato alla Corte Penale Internazionale per la sparizione di un numero non ben quantificato di bambini. Non ho chiaro in base a quale accordi adesso dei bambini sono tornati in Ucraina dalla Russia però resta una questione che non è un tabù, ma è complicata da esplorare. Quando vai nei villaggi senti continuamente parlare di questa tragedia.
La sindaca mi ha detto: “che pace posso fare con uno che ha rapito i nostri figli sotto le nostre case e potrebbe farlo anche domani? Bisognerebbe vincere”.
Di fronte al fatto che io dicevo che la situazione è un po’ di stallo etc… etc … lei mi ha detto che non si fiderà mai di una pace con Putin.
Non si può fare la pace con chi ha fatto le cose che ha fatto.
Continuando a parlare con lei mi ha raccontato che hanno messo in piedi uno spazio per fare scuola, perché non c’era più. Mi ha fatto notare che siccome prima c’è stato il Covid con l’isolamento per preservare i bambini dal contagio poi tre anni di guerra, in totale sono 5 anni che i ragazzi non vanno a scuola. Mi ha colpito pensare che da 5 anni i bambini ucraini, a parte quelli più fortunati che abitano in città, non possono andare normalmente a scuola.
La sindaca mi ha detto: “il sistema scolastico era il nostro vanto oggi è diventato il nostro punto debole”. Per 25.000 bambini dell’intero Oblast c’è una sola scuola, ovvero vuol dire che non c’è scuola. Una cosa difficilissima da risolvere.
Sempre in questo villaggio ho notato un altra cosa che mi ha fatto riflettere, proprio sulla situazione difficile dei ragazzini.
Siccome praticamente a scuola non ci possono andare e non possono giocare a niente un ragazzino di 11 anni si era messo in testa di liberare uno spazio per farne un campo da calcio. Il posto che aveva scelto era minato e lui è morto. Nel villaggio adesso vedi che che i ragazzini, compresi quelli più spavaldi, stanno sempre in gruppo, non si muovono da soli. Si proteggono stando insieme. Vedendo questo ti rendi conto di come anche i ragazzini percepiscono la situazione in cui vivono come estrema, non certo normale.
Non percepiamo la tragedia che stanno vivendo queste persone. Questo è dovuto anche al fatto che quando si parla del conteggio numerico delle vittime, il dato è riferito solo ai soldati. Ecco allora che scatta un atteggiamento del tipo “beh, i soldati sono pagati per quello”.
Questa è una verità solo a metà. Non è vero che muoiono solo i soldati e in più stiamo parlando nel caso dei volontari, quindi degli under 28, di ragazzi che hanno compromesso già la loro vita futura
I bambini non vanno a scuola da 5 anni. Ci sono bambini che avrebbero dovuto iniziare le scuole elementari che non sono mai andati a scuola. Ci sono i giovani vivono situazione in un contesto generalizzato di incertezza politica e grossa crisi economica.
Torniamo alla diretta dallo studio ovale. Qual è stata la reazione degli ucraini davanti alle recenti dichiarazioni politiche internazionali, in particolare al confronto tra Zelensky e Trump, e come vivono oggi il loro rapporto con gli Stati Uniti e l’Europa? Cosa ne pensano del fatto che Putin sia considerato da alcuni un interlocutore credibile?
Hanno visto quanto succedeva nello studio ovale in diretta TV di notte – stiamo parlando di persone che da tre anni di notte stanno sveglie – e chi non l’ha vista in diretta la mattina dopo è stato svegliato dal botta e risposta tra Zelensky e Trump. Tutto ha coinciso con l’accelerazione degli attacchi che hanno colpito sia a nord che a sud. A Kiev era un continuo bombardare.
Che cosa hanno provato? Hanno sentito che poteva essere il momento della verità dal punto di vista dello scontro sul campo e si sono sentiti un po’ soli.
Sulla questione del rapporto con gli americani ne ho parlato anche le altre volte e come dicevo l’ucraino medio ti dice che non aveva mai conosciuto un americano prima di adesso. Mediamente non è che ne vedi tantissimi in giro anche adesso. Quello che vedi sono i marchi delle aziende che hanno aperto come McDonald’s o altre. Prima non ne vedevi, adesso ne vedi sempre più.
Gli ucraini con cui interagisco, che sono di posti diversi, non si fidano di Putin e non riescono a comprendere come ci possano essere delle persone in Europa che apprezzano Putin. Per loro è una cosa assolutamente inspiegabile. Dicono “uno che se ne frega dei diritti umani, non sta alle regole, invade un territorio non suo, deporta bambini, cosa deve fare di peggio?”.
Sono sbigottiti, non riescono a credere che in Europa ci sia una frangia pro Putin, anche se sanno qual è la sua potenza di penetrazione dal punto di vista economico e anche politico.
Hanno sempre guardato all’Europa. Forse è una cosa che non riesco a spiegare bene ma quando si cammina in Polonia, in Romania, in Moldavia si percepisce questa voglia di essere occidentali. Lo stile di vita è quello, non è diverso.
Quando parliamo di politica, ti accorgi che il timore che la Russia possa prendersi o riprendersi dei territori perché pensa che le spettino, è una paura che sentono. Da noi magari questa cosa fa ridere, ma dire a un polacco che fa ridere sinceramente non credo che la prenda come una battuta. In Ucraina è anche peggio.
Quando sei arrivato, l’attenzione era sulla scena dello studio ovale, quando sei partito erano passati 10 giorni. In questo lasso di tempo è cambiato qualcosa per gli ucraini?
Da quando sono arrivato a quando sono partito, il cambiamento che ho notato è che inizialmente l’opinione pubblica era sotto shock, dopo invece ha dovuto totalmente misurarsi con la realtà della guerra e ha quasi messo da parte lo scontro o incontro tra i due.
Quando si è capito che si andava in Arabia a fare la trattativa, si è visto di nuovo uno spiraglio, però tutti sanno che proprio questi momenti in cui si va in qualche modo a cercare una trattativa sono quelli in cui gli attacchi diventano più frequenti, violenti, potenti. C’è questo aspetto da considerare: le persone quando ci sono momenti come questo si aspettano allarmi e pericoli.
Per concludere ci vuoi raccontare alcune immagini, momenti, commenti che ti hanno colpito in questo tuo viaggio?
In Ucraina i segni di come il tempo scorra veloce li puoi notare in certi frammenti. Camminando per Mykolaiv ti trovi in una piazza in cui c’è il più grande monumento alla cacciata dei nazifascisti nella seconda guerra mondiale con soldati russi che esultano dopo aver cacciato il nemico, di fronte a questo monumento, con tanto di targa con il numero dei morti caduti per liberare la città, ci sono le carcasse ormai svuotate dei tank russi, quelli con il logo Z, che hanno cercato di prendersi la città proprio all’inizio del conflitto e a sinistra della piazza si può notare un palazzo del governo molto grande, isolato, sventrato da un missile che lo ha colpito alle nove di mattina, un momento in cui gli uffici erano pieni.
In pochissimi metri quadri vedi il contrasto, la differenza tra quello che è il presente e il passato e quello che potrebbe essere il futuro.
A Kharkiv ho visto un’altra cosa che mi ha colpito.
Kharkiv è al nord, la zona che Putin vorrebbe riannettere, un luogo dove l’inverno è più rigido, un posto dove la circolazione è stata problematica per tutti questi tre anni. Nei giorni in cui c’è stato l’incontro alla Casa Bianca e si è capito che tutto era ancora in gioco, ci sono state iniziative da parte di persone, associazioni che, come succede frequentemente, hanno esposto le immagini, le fotografie dei ragazzi, dei uomini e delle donne che sono morte combattendo. Però proprio in quei giorni si è scelto di mostrare anche delle mappe in cui si vedeva la trasformazione dei luoghi e come i posti fossero stati distrutti e danneggiati in maniera praticamente irreversibile.
Questo è un aspetto che si collega a quanto dicevo prima e cioè il fatto che la preoccupazione ecologica, ambientale inizia a farsi spazio. Non avevo mai visto niente di simile prima.
Un ultima cosa che penso possa interessare è che quando Trump e Zelensky hanno discusso, si è parlato molto di staccare Starlink. Il fornitore del servizio al governo ucraino è Elon Musk. Come tutti sanno senza Starlink sarebbe caduta la rete che ha consentito all’Ucraina di difendersi.
Proprio in quei giorni è successa una cosa che non succede mai nel paese: i bancomat non funzionavano così come le carte di credito.
E poi c’era chi ironizzava in pieno spirito ucraino sulla questione di Musk facendo notare che gli attacchi russi non erano mai stati così precisi come in quei giorni. E’ una curiosità, un’illazione contro Elon Musk, però diciamo è nata un po’ questa barzelletta attorno a alla vicenda.
In Ucraina c’è un detto “chi mette i soldi sceglie la musica”.
Secondo me spiega bene tutta la storia.