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Ritorno in Ucraina – 4

Salutiamo Kyiv con una visita a Piazza Maidan e alla Piazza di fronte al Monastero di San Michele, dove ci sono sempre più carri armati dell’esercito russo distrutti. Sono lì per ricordare i giorni in cui i russi tentarono di entrare in città e per testimoniare quello che sta succedendo nell’est del Paese, e sempre più lunga è la lista di fotografie in ricordo dei combattenti caduti nella resistenza all’invasione russa.

In un viaggio in pullman di sette ore, ci spostiamo verso sud – per noi è la prima volta – in direzione di Odesa, dove anche i compagni e le compagne di Kyiv ci hanno consigliato di andare, dove la resistenza ha un sentimento diverso, perché più vicina alle linee del fronte, e dove però anche l’identità nazionale è vissuta in altri termini, perché più presente è la cultura e la lingua russa. Ad Odesa, lì dove l’esercito russo ha pensato di sfondare con maggiore facilità, la guerra si fa sentire con più insistenza. 

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Nelle prime ore di una mattinata molto umida, ci organizziamo per incontrare David, uno dei pochi (ma molto seri, sempre con lo sguardo e le mani nel concreto dei problemi che la loro città e la loro nazione stanno vivendo) attivisti della sinistra di Odesa. David ha 22 anni, ci spiega che solo negli ultimi quattro si è avvicinato a un pensiero di sinistra e ha scelto di entrare a far parte di Sotsialny Rukh, “perché non è scontato essere convinti di una posizione di sinistra nell’est Europa, ad Odesa in particolare”. Ci confessa che in realtà, nella sua Odesa, in cui è nato, cresciuto e in cui immagina il suo futuro, è difficile avere posizioni politiche forti in ogni direzione. Ma è ben consapevole della sua identità: per metà ebreo per metà ucraino. Politicamente non ha dubbi, 100 % ucraino, e dell’Ucraina conosce bene la storia e le contraddizioni. È critico sul governo, la cui debolezza, ci spiega, si mostra nella gestione delle due questioni che più gli stanno a cuore: la sanità (di cui ribadisce la centralità in un contesto di guerra e poi di ricostruzione, ma che lo tocca anche a livello personale e professionale essendo all’ultimo anno di medicina generale e pronto per avviare la specializzazione in psichiatria) e la necessità di una casa da parte di senzatetto e sfollati di guerra. Proprio su questo secondo asse lavora il collettivo di cui fa parte qui ad Odesa insieme ad altri attivisti, socialisti e anarchici, Street Aid ODS (link)

Abbiamo l’occasione di vedere l’operatività di Street Aid ODS, durante una delle loro distribuzioni di materiali igienici a persone senza fissa dimora. La spinta che li muove al mutuo aiuto, ci spiega David, è primariamente politica: nel breve termine, costruiscono solidarietà con le fasce più marginalizzate della società, ma ambiscono con questo a costruire un tessuto politico più espansivo. Non vogliono sostituirsi alle mancanze del governo, specificano, ma accumulare gli strumenti per fare pressione politica – strumenti che i membri di Street Aid ODS sostengono essere su più livelli, partendo dall’azione solidale sul territorio, ma con un occhio costante sull’istituzione. Vogliono, attraverso la prassi, avere voce politica.

Tra attivist* studiano teorie politiche per cercare di stare nel presente e agirlo con efficacia: leggono della rivoluzione del Rojava, leggono la teoria post-coloniale, Marx, Sartre, Harendt, Huey P. Newton e altri scritti delle Black Panthers. Nel loro circolo di lettura mensile hanno anche discusso di un libro sulla comunicazione non violenta (gli è servito per approcciare alle persone senza casa e anche, scherzano, agli attivisti della sinistra occidentale). Attualmente stanno leggendo Oscar Wilde, L’anima dell’uomo sotto il socialismo

Terminata la distribuzione, David, Nick, Sophia, i tre attivisti di Street Aid ODS, ci portano a vedere un murales dedicato ai tre martiri: Dmitry “Leshiy” Petrov, Achill man Finbar Cafferkey e Cooper Harris. Come scrive Davide Grasso (link all’articolo) il messaggio che ci consegnano è significativo della prospettiva politica in cui anche noi ci riconosciamo.  

La lunga discussione che facciamo successivamente si svolge a SRZ1, una  fabbrica abbandonata di fronte al porto che si avvicina molto alla nostra concezione di squat. Sophia abita lì. Ci raccontano che, prima dell’invasione su larga scala, ci viveva una ventina di persone. Di queste, alcune si sono allontanate dal paese, altre si sono spostate nell’Ucraina occidentale, in particolare a L’viv, dove ora vivono a SRZ2, che abbiamo conosciuto nel nostro viaggio di aprile (Agenda ucraina – Giorno 2 – Municipio zero). Ci fanno fare un breve giro dello spazio, ci mostrano le stanze, ora abbandonate, dove lavoravano le artiste che ora non stanno più a Odesa. Alcune delle loro opere sono ancora nelle loro vecchie stanze. Ci raccontano che non è stato facile rimettere in sesto quella vecchia fabbrica di navi, tra la sporcizia accumulata da ripulire e igienizzare e tutti i lavori materiali che anche noi ben conosciamo di auto-recupero di uno stabile vuoto da anni. Da SRZ1 si vede tutto il golfo di Odesa, senza navi e senza barche. Come si può immaginare, la pesca qui è sospesa dal 2022 e dopo la fine degli accordi sul grano si iniziano a vedere nuovamente le pile di containers accumularsi in porto. 

Con loro vive anche un militare, in pausa per il fine settimana. Il supporto di David, Nick e Sophia a chi sta prendendo parte attiva nella resistenza all’invasione è netto ed esplicito. Dicono che se la Russia si approprierà del territorio Ucraino, chi come loro sta cercando di costruire un terreno fertile per un avanzamento politico a sinistra  attraverso l’attivazione sociale, farà una brutta fine, così come le persone a loro vicine, tra chi se n’è andato dal Donbass per unirsi all’esercizio di difesa territoriale, chi, come David, fa parte di minoranze etniche, chi è queer.

David ci dice che in questo momento l’esercito rappresenta la difesa della popolazione ucraina. Condanna la destra presente al suo interno, ma sa che le voci che possono emergere dall’esercito dopo l’invasione sono anche altre. Crede che dopo una vittoria, l’Ucraina non sarebbe mai capace di accettare un regime autoritario. Ha un’idea di un’Ucraina solida, definita nella sua identità politica nazionale, un’identità che però sia accessibile a soggettività miste, un progetto politico che si costituisce sull’attivazione sociale, sulla tutela dei diritti,  sulla difesa dei territori, sull’accoglienza dei rifugiati. Sa che non sarà facile, ma sa che è il lavoro che gli ucraini e le ucraine dovranno fare, una volta respinta l’invasione e avviato il processo di dissoluzione dell’impero russo. Ed è netto sul sostegno incondizionato che deve arrivare dall’occidente: solo così, questo progetto si potrà provare a mettere in piedi.

Sono gli altri due ragazzi ad intervenire su questo punto interrompendolo: loro non credono che il sostegno debba essere incondizionato dal momento che all’interno delle forze armate ci sono anche gruppi neo-nazisti. Il sostegno deve andare alla resistenza ucraina, supportando in particolare quelle persone che combattono per costruire un’Ucraina più democratica. Sophia ci racconta che suo marito e suo fratello stanno combattendo a Kherson. Si sono arruolati la settimana dopo lo scoppio della guerra, unendosi alle unità di difesa territoriale di Odesa, e in un secondo momento hanno firmato un contratto per essere spostati sul fronte. Da parte sua, Sophia è entrata nella rete di Solidarity Collectives, vicina alle sue convinzioni anarchiche. È ora la responsabile logistica per il supporto di quattro combattenti membri della rete. Questo è il suo modo di sostenere le forze democratiche che fanno parte della resistenza del paese. 

Guardiamo insieme l’orizzonte oltre il mare, lì dove nel fiume Dnipro muoiono in modo atroce tanti soldati. Quel fronte spaventa molte persone e chiaramente non tutti vorrebbero trovarvisi. Poche settimane fa un ragazzo ha subito una coscrizione forzata proprio nell’Oblast di Odesa, e a causa dei suoi pregressi problemi psichiatrici è morto prima ancora di essere mandato a combattere. Questo fatto ha sollevato dibattito e indignazione, in città e in tutta la regione. I nostri ospiti ci dicono infatti che nell’Oblast di Odessa sono più frequenti le coscrizioni forzate. La rimozione attuata da Zelensky dei capi degli uffici di arruolamento è avvenuta in seguito a questo dibattito, ma dicono non essere sufficiente per impedire che fatti come questo avvengano ancora, soprattutto nei paesi di campagna dove la presa di parola della società è meno forte rispetto alle città. 

Come tante città di mare Odesa è contraddittoria. Si respirano strati di storia e influenze composite: si sente forte l’onere del passato, delle tante culture che l’hanno abitata e formata. Rifiutarsi di sottomettersi all’imperialismo russo qui vuol dire avere a che fare con tante sfumature di una storia passata e presente, e forse proprio queste sfumature, tipiche di una terra mediterranea, possono essere le migliori per sognare un futuro. Qui abbiamo il privilegio di toccare il mare, o almeno alcune porzioni di esso tornate accessibili. Abbiamo anche la fortuna di non vedere, come spesso accade, la contraerea in azione per evitare che le bombe russe cadano sui tetti della città. Accumuliamo nuove domande sul nostro progetto europeo e torniamo con la voglia di supportare attivamente gli attivisti che qui ad Odesa si spendono per i loro progetti.