“Dopo qualche tempo, ci accorgiamo che a ogni passo che compiamo nella nostra vita il ghiaccio sotto i piedi si assottiglia sempre più, e tutt’intorno o dietro a noi vediamo i nostri contemporanei che lo attraversano.”
Robert Louis Stevenson
Viviamo in tempi che molti definiscono di caos, noi l’abbiamo chiamato il tempo dell’oltre l’umano. Con una velocità impressionante nuove e vecchie potenze, Stati Uniti compresi, muovendosi guidate dai loro interessi, aprono continuamente scenari inediti. Dopo ogni mossa si creano scenari multipli. Mosse e contromosse danno vita a scenari inimmaginabili dove il punto di partenza e quello d’arrivo non sono decisi dalla linearità della fisica classica ma dalla potenza delle infinite possibilità della fisica quantistica. Per navigare tra racconti che esplorano scenari diversi, abbiamo dialogato con Schizzolettore, un caro compagno.
Il nostro amico incarna il presente multiplo, alterna la lettura attenta ed approfondita a quella veloce, si beve saggi totemici e trangugia romanzi, scrolla articoli sui social e butta un occhio alle serie tv. E’ curioso e non resiste a consigliare insistentemente letture a suo avviso imperdibili. Già, perché anche la lettura può essere un fatto condiviso. Leggo qualcosa che mi pare utile, lo racconto a più persone possibili di quelle a cui sono legato perché non è detto che un altro abbia tempo e voglia di leggerlo. La condivisione arricchisce il collettivo di cui ognuno di noi è parte.
Quali libri, letti recentemente, ti evocano la parola scenari?
Sostanzialmente due: Orbital e Diluvio. Due libri con scenari diversi, uno per così dire cosmico e uno profondamente terrestre.
Partiamo dal primo “Orbital” di Samantha Harvey.
Sinossi
“Nel cuore nero del cosmo, sei astronauti viaggiano in orbita attorno alla Terra, a bordo di una stazione spaziale. Vengono dall’America, dalla Russia, dall’Italia, dalla Gran Bretagna e dal Giappone, e sono partiti per studiare il silenzioso pianeta blu, su cui scorre intensa la vita da cui sono esclusi: un matrimonio in crisi, un funerale, un fratello ammalato, un tifone che minaccia devastazione. Li vediamo nei brevi momenti di intimità in cui preparano pasti disidratati, fanno ginnastica per non perdere massa, dormono a mezz’aria in assenza di gravità, stringono legami tra loro per sottrarsi alla solitudine. Ognuno è preso dai propri pensieri e dal proprio passato terrestre, ma più scorre il tempo più cominciano a sentirsi parti di un unico corpo – Pietro la mente, Anton il cuore, Roman le mani, Chie la coscienza, Shaun l’anima e Nell il respiro. Profondo e commovente, Orbital è un canto d’amore alla bellezza dell’universo e del nostro pianeta, che osservato da lontano diventa prezioso e precario, un gioiello sospeso nell’infinito, un paradiso da proteggere. Con voce incantata, Samantha Harvey ci ricorda che di fronte all’immensità del tempo e dello spazio siamo solo piccole foglie al vento, e che la nostra esistenza è scritta dal futuro che riusciamo a sognare”.
Perché leggerlo?
Solo delle brevi note per spiegare perché leggerlo. Orbital si può affrontare con una lettura lenta. E’ un libro molto particolare perché sceglie di vedere le cose in maniera immersiva, cioè con un occhio esterno che osserva con complicità e tantissima benevolenza (parola intesa nel suo senso iniziale benevolens non certo nella sua rivisitazione filosofica e teologica cristiana). Non uso a caso la parola benevolenza perché penso sia una cosa importante visto che nel presente c’è come una sorta di maledizione della narrativa e della filmografia contemporanea. Siamo sommersi da serie su personaggi bastardi, veri e propri pezzi di merda che fanno cose tremende, che spesso fanno anche i soldi facendo cose tremende e che diventano non più degli anti-eroi, cioè della gente da odiare, ma paradossalmente una liturgia del successo.
Orbital invece è una cosa diversa perché è una benevolenza, è una soffice lettura fatta a bordo della stazione spaziale internazionale. Ci sono persone che vengono da paesi diversi, come nelle barzellette dove c’è un americano, un italiano, un russo etc …, chi volete voi. Un gruppo, o meglio un manipolo di scienziati, astronauti che galleggia in assenza di gravità in questa straordinaria cosa che è la stazione spaziale internazionale. Ogni ramo della stazione è nazionalmente diviso con la sua iconografia e questo fa un po’ riflettere. Tutti convivono in assenza di gravità e viene raccontata la loro emozione per quello che stanno facendo, la loro storia, la loro famiglia, i loro affetti, i loro pensieri, per 24 ore. Attenzione: le loro 24 ore non sono un nostro giorno ma circa sedici giorni e notti nostre, perché girando nell’orbita terrestre in 24 ore la navicella fa molto più di un nostro giorno. E’ un concetto interessante il fatto che quello per noi è un giorno, per loro sono tanti giorni: un’occasione di vedere tante albe e tramonti.
In questo tempo relativo, diverso per loro e noi, loro osservano la terra, immaginano scene di vita che a loro sono rimaste impresse sulla terra. Amano la terra proprio perché non ne fanno più parte in quel momento. Tutto è soffice, tutto è veloce e lento, insomma immaginate cosa vuol dire, come direbbe Einstein, vivere in una navicella che precipita sulla terra. Non percepisci più la gravità, galleggi.
Vuoi dire che nel libro si introduce il tempo come terza dimensione della realtà, cosa che noi non facciamo mai, perché per noi la realtà è a due dimensioni?
Esattamente. Per questo uso il tema della benevolenza, cioè guardare le cose dall’alto ma con empatia. Questo permette di riacquisire quella straordinaria complicità che c’è tra umani, non nel senso cattolico della specie eletta, assolutamente no, ma quella cosa di essere una cosa piccola, con una vita ridicola. Noi adesso che ci stiamo parlando, quanto vivremo? Cent’anni, per dire. Ma cosa sono 100 anni dentro i 14 miliardi di vita dell’universo?
Riscoprire queste cose in senso letterario, se ci pensiamo, porta o ad una disperazione assoluta, per cui non ha più senso mangiare, bere e dormire visto che siamo una scoreggia nel tempo, o ad assumere un dato di limite e a vivere con amore, che significa con benevolenza, l’esperienza unica e irripetibile che hai. Un dono straordinario di questo romanzo è il concetto di amare in maniera profonda questa straordinaria e disperante vita umana collettiva. Un libro che ha il pregio di essere brevissimo, meno di 200 pagine, che si legge con piacere e ti fa addormentare con piacere.
Dalle 200 pagine di Orbital passiamo alle più di 1500 pagine di “Diluvio” di Stephen Markley.
Sinossi
“Fenomeni meteorologici sempre più estremi: tempeste, siccità, incendi, alluvioni. Governi sempre più divisi e impotenti. La crisi ecologica è arrivata. Sulle montagne del Wyoming, Kate Morris, una giovane attivista, dà inizio a un progetto che potrebbe cambiare il corso della storia mentre la politica rimane impantanata nei suoi riti stanchi. Intorno a lei, le vite, le aspirazioni e l’impegno di un climatologo, un giovane sbandato e un gruppo di ecoterroristi. Diluvio è un’opera-mondo che ci costringe a guardare in faccia il pericolo che aleggia sul destino dell’umanità. Con una scrittura poetica e potente, e la sua capacità unica di raccontare gli uomini e le donne, Stephen Markley compone il romanzo ambizioso e coraggioso dei nostri anni. E forse del nostro futuro.”
Diluvio è recensito da più parti come uno di quei libri che bisogna leggere. Viene presentato come un romanzo epocale. C’è chi lo paragona ai grandi classici russi, come Guerra e Pace di Dostoevskij. C’è chi ne parla come il romanzo dell’oggi, dei tempi di caos in cui siamo immersi, dove ogni regola del passato non vale e niente è scontato. Lo stesso autore dice che il romanzo è il presente, tanto è vero che se ci saranno prossime ristampe il finale potrebbe cambiare perché il libro è immerso nel presente e non ci sono soluzioni date sul futuro. Possiamo dire che se Orbital guardava la terra dal cosmo, Diluvio vive nel presente coi piedi piantati per terra?
Diluvio, rispetto ad Orbital si sviluppa in 20 anni, il nostro tempo storico, il tempo dell’egemonia trumpiana sulla politica globale. Ci fa fare un salto di modello. Penso che Diluvio non sia paragonabile ai grandi classici russi. Dostoevsky, che io amo particolarmente, indaga l’umano e invece Diluvio indaga la politica e per questo motivo è estremamente interessante.
Lo considero un vero e proprio manuale politico per i compagni e le compagne. Con tutti i limiti. E’ chiaro che quello che serve a noi adesso come manualistica politica magari non servirà alle prossime generazioni. Però in questo momento è utilissimo leggerlo. E’ scritto da un ragazzo molto giovane, evidentemente molto compromesso con la nostra parte politica. Non credo che l’autore finga, in questo senso dico che è un nostro amico.
Scrive questo romanzo facendo un’operazione interessantissima, quella di assumere a pieno la rottura storica del primo mandato di Trump e ne scrive prima della rielezione. Il volume è scritto durante la parentesi di Biden. Sostanzialmente l’autore fa un’interpolazione, cioè disegna un futuro prossimo sulla base dei dati storici e politici in corso quando scrive. Non è fantascienza, è una sorta di prosecuzione della realtà dentro scenari possibili e lo fa con una finestra in tempo di un ventennio.
Cosa succede nei vent’anni che racconta Diluvio?
Il primo aspetto è che il cambiamento climatico produce i disastri che vediamo in parte oggi ma che vengono accelerati come la scienza ci dice. Poli estremi, dal grande caldo, la desertificazione alle grandi alluvioni, acque che invadono coste e ancora fulmini o caldi terrificanti.
Il secondo aspetto è che la politica è diventata trumpiana e quindi la crisi del bipartitismo americano, democratici e repubblicani, lascia il campo libero a che cosa?
A fuori di cranio totali che diventano presidenti della repubblica americana, che fanno sembrare Trump un moderato ma che sostanzialmente sono Trump e Vance portati all’ennesima potenza, ma sono loro. E’ la prosecuzione di una politica possibile. A attori politici radicali come quelli raccontati nel bellissimo film “The Order” con il grande Jude Law in cui il regista australiano Justin Kurzel attraverso la vicenda reale di Robert Matthews, narra a fondo la genesi ma soprattutto il percorso non certo causale ma organizzato negli anni degli estremismi di destra come descrive Cristina Piccino nell’articolo de Il Manifesto. A estremismi, suprematisti bianchi che diventano candidabili e parte dello scenario politico formale americano e quindi scene di lotta armata di destra, pezzi di Stato che vengono resi indipendenti e autonomi da parte di suprematisti bianchi armati.
Dall’altro però – ed è l’importanza di Diluvio che per questo non è distopico ma politico – c’è il terreno della contesa, ovvero movimenti sociali, donne e uomini reali come noi che disputano gli esiti politici, si organizzano, provano in tanti modi diversi a contare, a cambiare l’ordine della storia e lo fanno in tutti i modi possibili.
L’esperienza originaria dei protagonisti, nostri amici della storia di lotte del libro, la loro soggettivazione avviene sostanzialmente nella lotta in Nord Dakota contro l’oleodotto che avrebbe dovuto attraversare la terra dei nativi.
Stai parlando della lotta #NoDAPL di Standing Rock?
Assolutamente sì. Non viene raccontata come fabula, l’ordine dei fatti viene cambiato perché c’è una costruzione del romanzo ma si capisce che l’esperienza originaria, la soggettivazione, l’educazione sentimentale dei protagonisti, anche di coloro che non si conosceranno, è negli scontri, nella resistenza, nella disobbedienza fatta contro l’oleodotto, iniziata durante l’amministrazione Obama.
Perché dici che Diluvio è un manuale politico?
Dentro questo casino totale che è la politica che stiamo vivendo, dentro la marcia dell’umanità sul ghiaccio secco, nel libro c’è tutto lo spettro della politica.
Ci sono figure a me molto più vicine che stanno nei movimenti sociali. C’è l’ibridazione della politica perché non ha più senso nell’era post-Trumpiana dire cos’è rappresentanza e cos’è movimento. E’ tutto talmente estremo per cui uno può fare cose estremamente radicali nella piazza, ma può fare cose estremamente radicali anche se ha ambizioni di raccolta del consenso. Hai figure che le provano tutte nel terreno dell’organizzazione del conflitto. Si pongono anche il problema di costruzione di associazioni nazionali che portino avanti un’infrastruttura di movimento per la resistenza climatica. Hai avanguardie armate, che quindi per loro costruzione sono esterne ai movimenti sociali, che in qualche maniera non hanno neanche un rapporto con questi, che riecheggiano in maniera pubblica i Weathermen dei primi anni settanta americani, perché ne usano il dizionario politico e praticano le cose che fecero loro. Non vado avanti perché sennò spoilero ma è un percorso che viene trattato in maniera molto seria nel libro. Hai figure della politica tradizionale democratica americana che vanno in crisi e che hanno un problema di costruzione del rapporto con il potere finanziario e dei fossili americano.
Tutto questo mentre accadono cose. Le cose che accadono ci parlano moltissimo, perché o sono cose che abbiamo fatto o che potremmo organizzare dentro la resistenza climatica. In particolare sono straordinarie le pagine del Campidoglio. Non vi dico altro perché sennò andiamo troppo al cuore dello sviluppo del romanzo e per arrivarci bisogna leggersi circa un settecento pagine.
Ecco, questo è un elemento che può risultare un po’ pesante. Il libro è molto lungo, forse una sforbiciata si sarebbe potuta fare. Ma chi siamo noi per giudicare? Comunque io fino alla fine ci sono arrivato volentieri.
Questi sono alcuni dei motivi per cui Diluvio è un manuale politico ed è utile leggerlo.
Un’altra cosa che rende il libro interessante è che ci sono ricchi e poveri. L’autore non fa una battaglia solo di idee, ci sono i casi. Ricchi stronzi che finanziarizzano le costruzioni edilizie sulle coste americane ben sapendo che verranno inondate. Poveri bianchi, quelli di cui parla J.D. Vance, attuale vicepresidente americano, nel suo libro “Elegia americana”, libro da leggere anche se dare i soldi ad un personaggio del genere fa girare le scatole. I poveri di quel libro invece di andare a votare Trump, in Diluvio stanno dentro le droghe e tutto quel che ne consegue, occupano i Mall, supermercati americani, perché sono i rifugi climatici dei poveri. Questo fanno. Le categorie ricco e povero sono molto presenti nel romanzo.
Fatemi dire una cosa: finalmente un libro in cui si parla di lotte, in cui ci sono i nostri eroi che combattono, che resistono, che sono creativi, che possiamo amare. Questo è molto importante. Basta con gli anti-eroi bastardi che popolano le serie TV di moda. Abbiamo bisogno di nostri eroi che costruiscono un’epica di lotte con tutti i limiti, ma che siano palpabili, amabili, con una sessualità complicata, con debolezze, difficoltà, ma che ci provano fino in fondo. Questo in Diluvio c’è e lo trovate.
Quello che dici fa tornare in mente il libro “Radicalized” di Cory Doctorow. Un volume immerso negli scenari presenti, dall’IA alle questioni etiche delle tecnologie, che racconta quattro storie di resistenza e ribellione. La prima in particolare parla dell’importanza della scelta: non è che essere poveri immediatamente ti rende ribelle, è solo la complicità, anche in collocazioni sociali diverse, che porta alla costruzione della ribellione, della condivisione nella lotta.
Queste cose che dici sono importanti. Voglio anche aggiungere un’altra cosa: scrivere può essere un atto politico. Diceva Hannah Arendt che la presa di parola è un atto politico e anche il Subcomandante Marcos parlava di atto pubblico. Se abbiamo l’opportunità di essere letti da tanta gente è importante che il terreno della contesa, dell’epica della resistenza sia curato, non per scrivere come avrebbe fatto Majakovskij. L’arte ha una sua nobiltà, una sua autonomia rispetto alla politica. Però da lettore mi piace poter leggere un grande libro in cui ci sono grandi storie di resistenza, in cui le persone non sono dei pezzi di merda. Lasciamo da parte il vincere o perdere. Non stiamo qua a fare dei bilanci. Vincere o perdere lo valuterà ognuno cosa vuol dire. Però il fatto di lottare, di provarci fino in fondo con tutte le energie che abbiamo e avere delle storie di figure che ci provano, per me è straordinario.
Lo dico perché non sono più abituato. I racconti in circolazione, che magari stiamo leggendo, parlano di piccole cose, allusioni, invece in Diluvio c’è un assalto al cielo. Ci provano a fermare il cambiamento climatico e nel farlo si sporcano anche tanto le mani, devono incontrare i padroni del vapore. Ma devono provare anche l’assalto e lo fanno. Al Campidoglio ci vanno i nostri questa volta e ci vanno con creatività. Mi fermo per non spoilerare ma il tema con cui dobbiamo confrontarci è cosa avremmo fatto noi se fossimo stati Kate Morris? Dove sono le nostre Kate Morris? Finalmente hanno un libro, questo è il punto. Non stiamo leggendo una storia su cose marginali, in cui perdiamo sempre, non siamo mai degli eroi, non scriviamo mai la storia. Ci proviamo, costi quel che costi.
Prima di chiudere c’è qualche altro libro che consigli?
Direi “Uccidi i ricchi” di Sandrone Dazieri. I libri dei nostri amici si leggono sempre e si comprano. E’ giusto.
Sandrone è un amico, un compagno, una persona straordinariamente intelligente, che ha fatto una bellissima carriera. Il suo ultimo libro tratta un tema che è decisivo, di cui abbiamo appena scritto come Municipi sociali. I super ricchi sono una categoria che in questo momento comanda il mondo e prova sempre di più a diventare anche la politica del mondo. I super ricchi non vogliono raccogliere il consenso, vogliono direttamente comandare il mondo.
Questi super ricchi sono i protagonisti del libro di Sandrone. E’ un tema politico. Sandrone ha annusato l’aria e giustamente ci ha scritto un libro sopra. Uccidi il ricco, il tema del regicidio sta nel presente, basta pensare chi ha ucciso a New York l’AD di una assicurazione sanitaria privata viene immediatamente metabolizzato come iconico nella subcultura metropolitana, come si vede nelle scritte fatte su di lui.
Nel libro le contestazioni ai super ricchi non fanno male ai ricchi, perché loro si procurano degli eserciti privati che li proteggono. Il tema è giustamente che nello scenario dei super ricchi ci sono malaffari, cose varie, omicidi e su tutto questo si sviluppa il libro.
A cura di Settimo scaffale
Flusso intergenerazionale informale di persone, per ora umane, a cui piace leggere e condividere