A L’viv, le compagne ci accolgono in un confronto organizzato tra alcune realtà del territorio: Feminist Workshop, Social Movement e Direct action. Ci raduniamo in uno dei rifugi di Feminist Worskshop, in cui vivono una ventina di donne e bambine. Ci sediamo in cerchio nella mansarda, uno spazio normalmente adibito ad area giochi per le bambine accolte nel rifugio. Parliamo di vari temi: Casa, identità, luoghi da difendere. Comunità, nazioni, territori. Futuro, progetti, utopie.
Il giorno dopo rincontriamo Anastasia, una ragazza di 26 anni che lavora nella comunicazione di Feminist Workshop. Di seguito, una selezione delle domande che le abbiamo fatto per approfondire la discussione collettiva del giorno prima.
- Ieri, nel nostro incontro menzionavi l’idea di una democrazia organizzata in comunità locali che possa permettere alla popolazione di avere un’identità locale ma allo stesso tempo di identificarsi con qualcosa di più grande, non radicata in un’idea molto etnica di nazione.
ANASTASIA: In generale, mi piace molto l’idea delle comunità locali, soprattutto in paesi come l’Ucraina. Naturalmente, non sto parlando di federalizzazione, poiché questo modello può creare lo spazio per sostenere il separatismo regionale promosso da altri Paesi, come la situazione che stiamo vivendo nel Donbass. Sto parlando del potere delle comunità e dell’attività delle persone che fanno parte delle comunità che vogliono attivamente partecipare al governo del paese. Sento che a volte la gente in Ucraina è passiva, soprattutto rispetto i livelli più alti e istituzionali della politica. La gente pensa semplicemente di non poter cambiare nulla, che tutta è colpa della burocrazia, che è così da sempre e che la singola persona non può fare nulla. Ma, d’altra parte, vedo un enorme potenziale nell’auto-organizzazione dei piccoli gruppi. Per esempio, io vivo in un edificio sovietico di 9 piani a L’viv, dove ci sono 100 appartamenti, e le persone che ci vivono sono molto attive, a volte anche troppo (ride). Quando è iniziata l’invasione su larga scala, hanno organizzato dei gruppi di persone che stazionavano all’ingresso per proteggere il loro cortile e la loro comunità dal potenziale arrivo dei soldati russi. Ora è strano pensarci, ma sono rimasta impressionata dal fatto che le persone si siano organizzate ad un livello così locale. Attraverso queste attività di mutuo aiuto, si diventa consapevoli di star facendo qualcosa per le proprie comunità, che le proprie azioni non spariscono nell’enormità del paese in cui viviamo, ma avranno un effetto per le persone che ci circondano. Ed è così che si possono creare forti legami. Così facendo i membri delle comunità locali diventano più consapevoli di ciò che accade intorno a loro e inviano richieste al governo per chiedere cosa accadrà, ad esempio, nel loro quartiere. Penso che se ogni comunità lavorasse in questo modo, potremmo costruire un’identità ucraina sulla base di questo sostegno reciproco comunitario.
Quando è iniziata l’invasione su larga scala, molte persone sono arrivate a L’viv e nella parte occidentale dell’Ucraina. Questo ha ovviamente creato alcuni problemi, ad esempio l’aumento dei prezzi del mercato immobiliare, ma allo stesso tempo ha dato la possibilità a molte persone dell’est di viaggiare per il paese e di decostruire le tensioni alimentate dall’ex Unione Sovietica – e oggi dalla Russia – che accentuano la divisione tra l’est e l’ovest. Per questo motivo, credo che i legami tra le persone sorti durante la guerra abbiano aiutato ad affrontare queste divisioni. Penso che gli ucraini siano pronti a sperimentare un simile sistema di connessioni, sostegno e identità comunitarie su base locale. Naturalmente, però, dobbiamo organizzarci per creare lo spazio in cui il potere delle comunità si possa esprimere a livello locale, magari candidando ed eleggendo alcuni membri a consiglieri delle giunte comunali.
Prima dell’invasione su larga scala, in Ucraina è stata avviata una riforma per decentralizzare il sistema politico: l’idea era di dare più potere al livello delle giunte locale. Tuttavia, questa proposta era focalizzata a livello istituzionale, dando più potere ai comuni. Quindi, questa riforma non era orientata verso il potere e la volontà delle persone. Questo ne ha determinato i limiti che dovremmo superare, cogliendo l’occasione che questa guerra ci offre di unirci e sperimentare nuovi modelli di governo democratici.
- Vorremmo conoscere la tua opinione su un paio di questioni legate alla guerra. La prima riguarda il sostegno sia militare sia economico che l’Ucraina sta ricevendo, soprattutto da nazioni potenti, come il Regno Unito o gli Stati Uniti. Qualche mese fa c’è stata una conferenza internazionale sponsorizzata dal governo italiano, sulla ricostruzione dell’Ucraina. Il primo ministro in Italia l’ha definita come una grande opportunità anche per gli imprenditori italiani e le aziende occidentali. Hai paura delle conseguenze che la resistenza ucraina potrebbe avere in relazione al sostegno dei paesi occidentali?
ANASTASIA: Naturalmente potrebbe avere conseguenze negative. Io non sono una economista, quindi non sono in grado di comprendere a pieno questa situazione, ma è chiaro che l’Ucraina si trova in una situazione economica negativa. Non abbiamo soldi, sempre meno. L’altro giorno al telegiornale dicevano che il 60% di ogni grivna è denaro di altri paesi. Questo dimostra che stiamo esistendo solo perché altri paesi ci aiutano con i loro prestiti. E non stiamo parlando di armi, stiamo parlando di economia. Dallo scoppio della guerra, molte aziende e grandi fabbriche nel settore metallurgico e agricolo che si trovano nel sud-est del paese hanno chiuso. In seguito al bombardamento della diga di Novokupovka, tutti i sistemi agricoli della regione sono stati sommersi. Per risollevare le sorti economiche dell’Ucraina e sostenere tutti gli sfollati del paese abbiamo bisogno di prestiti. Oggi i sussidi sociali ammontano ad una cifra molto bassa, se non ricordo male 2000 grivne al mese a persona e 3000 grivne per bambino. Quindi se sei una mamma single con bambino hai diritto a 5000 grivne, che in euro equivale a circa 130 euro. In Ucraina, con questi soldi puoi più o meno sopravvivere se per esempio vivi in un villaggio e hai il tuo orto, i tuoi animali e qualche mezzo di sussistenza. È chiaramente una cifra esigua. Se viene però sommata per tutte le persone sfollate che ne hanno bisogno diventa un grande costo per un paese in guerra. Diversi stati occidentali ci stanno aiutando. Apprezziamo molto questo supporto, ma ho davvero paura della dipendenza che questa situazione può creare. Se i politici dicono una cosa oggi, non ci sono garanzie che la sostengano anche domani. Oggi, per esempio, in molti discutono sul fatto che se gli Stati Uniti dicono a Zelensky di andare a trattare con Putin e di concludere la guerra in qualche modo, l’Ucraina sia obbligata a farlo a causa della relazione di dipendenza che si è creata in questi mesi di guerra. Questi scenari di perdita completa della propria autonomia politica fanno paura. Non si tratta solo della fine della guerra, ma anche di altre questioni, perché se l’Ucraina non è in grado di pagare per la propria esistenza, i governi di altri paesi possono prendere decisioni al suo posto e il governo ucraino non può che essere d’accordo.
Il livello della dipendenza deriva tuttavia anche dalla qualità dell’élite politica che governa il paese. Gli ucraini hanno questa caratteristica, non amano mai il governo in carica, nessuno. Se si analizzano i passati presidenti in carica, si capisce che ogni volta la maggioranza degli elettori hanno votato per il candidato dell’opposizione. Forse il governo attuale può mantenere il consenso durante la guerra, ma quando la guerra finirà dovremo affrontare tutte le gravi conseguenze economiche e sociali. Abbiamo quindi bisogno di persone competenti, in grado di tracciare un percorso di ricostruzione equa della società che si fondi su politiche sociali e non neoliberali. Quando la guerra finirà, avremo bisogno di sussidi per tutte quelle persone che sono state soldati e che hanno problemi di salute. Dovremo sostenerle in modo adeguato, perché queste persone hanno perso la salute per difenderci. È quindi importante, non solo mostrare loro rispetto, ma anche garantire una stabilità sociale, perché se molte persone che hanno vissuto la guerra si sentono abbandonate dal proprio governo, rischiano di diventare una minaccia per la sicurezza interna, essendo persone in grado di usare le armi. Questa è una situazione davvero pericolosa, quindi abbiamo bisogno più che mai di una prospettiva di sinistra in grado di costruire sicurezza sociale che si basi su una fiducia reciproca tra i cittadini e il governo. E questa fiducia non si può sviluppare in un sistema neoliberale in cui in pochi si arricchiscono sulle spalle di molti, in cui la popolazione lavora e non sa per cosa lavora, in cui i cittadini pagano le tasse ma lo stato non le protegge. Se vogliamo davvero che i nostri cittadini ritornino dall’Europa e non lascino l’Ucraina dopo la guerra fiducia è importante che ci sia fiducia tra la popolazione e il governo. Ripristinare il paese e l’economia è un processo molto difficile che non può essere realizzato senza la fiducia dei cittadini nel futuro. La gente deve sentire che sta lavorando per se stessa, per i propri figli, che sta costruendo un paese in cui si sentirà al sicuro, fisicamente, socialmente ed economicamente. Certo, una fase di liberalizzazione può essere necessaria per far ripartire l’economia. Ma non possiamo chiudere gli occhi sulla componente sociale, che è alla base della fiducia dei cittadini nel governo