Arriviamo a Kyiv al mattino presto, lasciandoci alle spalle il freddo gelido di L’viv. Un timido sole fa capolino tra le nuvole veloci. Nell’aria si respira un’atmosfera festosa, con locali chiusi e molte persone per strada che passeggiano, stringendo in mano piccoli mazzi di ramoscelli, l’equivalente ortodosso delle nostre palme. Raggiungiamo la cima della collina del monastero di S. Michele, che si erge sullo sfondo con le sue cupole dorate illuminate dal sole. Al centro della piazza ci sono quattro carcasse di carri armati russi, anneriti e distrutti dai combattimenti, testimonianza del tentativo di invasione della città, oggi presi d’assalto da bambin*.
Improvisamente, le campane di S. Michele iniziano a suonare una melodia lunga e lugubre che accompagna i movimenti dei bambin* tra i segni della guerra. Accanto a loro si erge una montagna di sacchi di sabbia con uno striscione appeso che invoca “World help us”. Sullo sfondo, le mura del monastero riportano centinaia di foto dei caduti della guerra russo-ucraina, che dal 2014 continua a strappare vite.
Nel pomeriggio incontriamo Taras alla stazione metropolitana di Vystavkovyi Tsentr. Abbiamo un appuntamento con lui per parlare di Sotsіalniy Rukh, (SR), l’organizzazione politica di cui fa parte. Come in ogni incontro avuto fin ora, approfittiamo dell’occasione per cercare di capire meglio tutta la situazione. Ci porta in un vecchio “expo” sovietico con grandi padiglioni costruiti dalle diverse repubbliche dell’URSS.
Sotsіalniy Rukh è l’organizzazione di sinistra più strutturata in Ucraina e, seppur piccola in termini numerici, sta sviluppando un processo interessante in termini di allargamento e intersezionalità.
Dal 2015, dopo le proteste di Euromaidan, SR ha coinvolto student*, femministe, sindacati e intellettuali, ha costituito un’associazione e ha presentato alcun* candidat* alle elezioni comunali di diverse città. L’obiettivo, ci dicono, è quello di fondare un partito “socialista” che reinterpreti il significato di questo termine nel contesto attuale. Ma non solo. Sostengono che le lotte femministe, ecologiste e sul lavoro svolgano un ruolo determinante nella resistenza all’invasione russa e alle logiche neoliberiste già presenti nella struttura sociale ed economica del paese. Per SR ci vogliono grassroots movements e ci vuole qualcun* in parlamento, visto che attualmente non c’è nessuna forza politica che porti avanti certe istanze. Ma in uno stato di guerra è quasi impossibile registrare ufficialmente un nuovo partito. Taras è convinto che non sarà facile nemmeno dopo, vista la loro esplicita avversità agli oligarchi e all’intero sistema di partiti ucraino.
Per questo SR agisce su tre livelli principali interdipendenti: la politicizzazione di diversi sindacati, la denuncia delle politiche neoliberali a livello municipale e nazionale, e la costruzione di comunità ed auto-organizzazione dal basso. Con questo approccio nuove persone si stanno avvicinando al movimento.
Mentre passeggiamo, il tempo cambia improvvisamente e siamo colt* da un violento acquazzone. Ci rifugiamo in un bar vicino e ci raggiunge Petr. Anche lui è parte di SR, kievita, e dal 24 febbraio 2022 non si è mai spostato dalla città per aiutare e fare politica.
Davanti ad una tazza di caffè con Taras e Petr parliamo soprattutto della guerra. Ad un anno di resistenza all’invasione si sentono di aver fatto propri 3 importanti principi. Primo, non cercare di prendere scorciatoie per problemi complessi. Secondo, non dividersi su questioni a cui non possiamo dare risposta. Terzo, prendersi cura delle persone attive nel movimento per tutelare la soggettività politica nel presente e nel futuro. Questo ultimo punto affermano essere stato fondamentale nei primi mesi di guerra. Ogni giorno, telefonavano ad ogni compagn* per sapere dove fosse, cosa facesse, come stesse e se c’era qualcosa di cui avesse bisogno. Prendersi cura significava organizzare la logistica degli aiuti materiali, cibo, acqua, spostamenti e vie di fuga. Questo, dicono, è stato l’unico modo per garantire la sopravvivenza dell’organizzazione in tempi di profonda crisi. Come capiamo più tardi questa lezione non è stata per niente perduta ora. Attualmente supportano attivamente i quattro compagn* dell’organizzazione che combattono al fronte e le diverse persone iscritte al sindacato anch’esse in prima linea a combattere.
Cosa vuol dire essere uomini in Ucraina? Loro, come altri, non sanno ancora cosa faranno nel momento in cui arriverà la convocazione ad un centro di arruolamento. Tuttavia, ci pensano costantemente perchè la guerra ormai è parte della loro vita quotidiana. Inoltre ci sono centri e centri, ma la maggior parte di questi attualmente rispedisce a casa chi non è “pront*” per combattere. Questo perchè l’addestramento dura almeno due mesi e al momento si preferisce avere persone convinte di stare sul fronte. In un paese più a est dove Taras si è da poco recato per incontrare una trentina di lavoratori del sindacato, dieci di essi non si sono presentati all’assemblea per paura di essere intercettati dalla polizia ed arruaolati obbligatoriamente. Lui dice che girano leggende metropolitane sull’arruolamento coatto, ma sinceramente non sa dire se in alcune zone le guardie si comportino in tal modo. Nessuna delle persone che si è recata a quella assemblea comunque è stata mandata al fronte.
La cosa importante, ribadiscono, è il sostegno a chi combatte nella prima linea. È grazie a loro che siamo qui a parlare.
L’ultima tappa del giro che facciamo è l’università colpita dai bombardamenti la notte di capodanno. In particolare ci tengono a mostrare l’enorme citazione di Lenin presente su una facciata: “Imparate! Imparate! Imparate!”