Poco più di un mese fa concludevamo i lavori di RTT, con una partecipata plenaria nella quale si è provato a delinerare lo sviluppo dei prossimi mesi ed ad identificarei punti di applicazione delle competenze presentate e condivise. Il report spedito ai partecipanti e pubblicato sul sito fornisce un bilancio ed un sunto della splendida tre giorni, non serve aggiungere altro.
Ci permettiamo di fare un passo indietro e di lato per rifocalizzare un paio di punti di vista che provano a dare rilievo strategico alla prospettiva.
Il primo di essi è l’approccio complessivo ed ibrido che ci poniamo; intendiamo qui rimarcare che la relazione con il digitale, la tecnologia, la biotecnologia, il piccolo ed il grande nella fisica, non sono qualcosa di altro da noi, ma la condizione esistenziale del nostro divenire. Non vi è una sfera tecnologica “digitale” esterna al noi “analogico”, ma siamo e saremo per i prossimi secoli ibridi, antropoformi, in un mondo antropoformizzato.
Ognuno di noi può essere più o meno abile con i social media o con lo smartphone, più capace nel coding o meno capace con il wallet delle criptovalute, ma il succo della storia non cambia: viviamo e ci riproduciamo in una realtà aumentata ibrida.
In questa direzione stiamo andando oltre gli hack meeting, oltre il lascito di Indymedia: la composizione sociale è talmente interna a questa nuova epoca storica che non vi è più un fuori di cui appropriarsi ma -solo- un dentro in cui formarsi, organizzarsi, lottare.
Il tema ambizioso è lo sviluppo di una teoria materialistica immersiva.
Se così è, RTT può spingere ancora più in là il campo del confronto, che nel primo evento ha trovato nell’info-sfera il principale baricentro, evidenziandone la non neutralità, la sua sessualizzazione, i profili di razializzazione, la dialettica tra padrone e servo.
Ma oltre internet? Oltre essa vi sono lo spazio ed il cielo, le tecnologie del/ sul/ nel corpo, le applicazioni della fisica quantistica, l’intelligenza artificiale generativa.
Un mondo reale – vorremmo esercitarci a non usare più la parola “virtuale” perché echeggia di realtà subordinata, secondaria, falsa- dalle percezioni aumentate, ibrido, in cui lo sfruttamento del capitale si ricolloca aggiornando i suoi paradigmi e valorizzando per la sua riproduzione l’enorme conoscenza socialmente prodotta.
It’s only halftime, si dice durante il superbowl quando le due finaliste respirano negli spogliatoi durante il break di metà partita.
Siamo anche noi alla fine del primo tempo e la partita è aperta e lunga, maledettamente complicata.
Dobbiamo cercare anche nuovi giocatori, adeguati alla categoria. Essi sono celati nelle università, nei laboratori di ricerca, portano culture nuove, sono diffidenti a lavorare con noi che ci avviciniamo come post-operaisti, ma giocano con piacere alla rivoluzione se sorridiamo in un vertiporto sportivo per droni da competizione.
Andiamo a farci due chiacchiere, it’s only half time.