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La foto di copertina, realizzata da Ivan Grozny, è un graffito di Bansky a Borodyanka fatto il 30 ottobre 2022

L’inverno ucraino / pt1

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Inverno ucraino
Inverno ucraino
L'inverno ucraino / pt1
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Sono passati già tre anni da quando Putin ha invaso l’Ucraina. Oggi è quasi un argomento fastidioso. Pare quasi che ognuno abbia preferito incasellare questa vicenda nelle sue rassicuranti ed ideologiche certezze valide per ogni stagione. Come se non fosse un problema nostro.  Ma le domande aperte dall’invasione dello Zar, a cui ha risposto la resistenza delle comunità ucraine, restano ancora tutte sul tappeto. In che tempo viviamo? Viviamo nel tempo della guerra civile globale e l’Ucraina ne è un tassello ineludibile. L’Europa dove è finita? Visto che c’è quasi un’attesa spasmodica che a risolvere il tutto siano i vari Trump, Putin, Erdogan, Musk, Xi Jinping e chi altri vorranno, magari trovandosi in Qatar? 

Non è forse che per iniziare ad affrontare di petto il tema dell’Europa politica dovremmo guardare a est? Alle proteste studentesche in Serbia, alle piazze in Georgia, alle storie potenti come quella di Maria Zaitseva, simbolo delle proteste in Bielorussia contro Lukashenko, morta il giorno dopo aver compiuto 24 anni combattendo in Ucraina come volontaria nel battaglione della Legione Internazionale.

Tante questioni restano aperte. 

Scegliamo intanto di fare un salto in Ucraina assieme al giornalista Ivan Grozny che ci offre tanti frame, immagini, a partire da quanto ha potuto vedere nei suoi tre anni di viaggi. 

https://www.instagram.com/groznyivan/#

https://www.facebook.com/ivangroznycompasso

Tanti aspetti di ieri, oggi e domani dell’Ucraina ci aprono più domande che risposte. Osservare direttamente, essere attenti e curiosi a quel che accade in maniera libera, forse è così che nel tempo della non linearità, come afferma la fisica quantistica, possiamo affrontare il nostro presente. 

Note

La chiacchierata che abbiamo fatto con Ivan Grozny è stata ampia. Per proporvela l’abbiamo organizzata in due parti.

PRIMA PARTE: Inizio – Oggi – Putin? No grazie – Europa vista dall’Est – Occupazione – Villaggi – Personaggi: la sindaca – Personaggi: Olga – Le mine – Personaggi: le sminatrici – Personaggi: il capo militare georgiano

SECONDA PARTE: Solidarietà interna – Religione – Personaggi: il cappellano – Discussioni ed influencer – Dopo Zelensky: intanto vivere, poi ricostruire – La guerra non ha regole – Dentro il paese – Odessa. 

Per comodità di fruizione abbiamo organizzato l’articolo in due audio e con una galleria fotografica potete vedere le foto scattate da Ivan. Prima di iniziare un paio di frammenti che ci hanno colpito:

“Nel piccolo paese di Partyzans’ke nell’oblast di Mykolaiv c’è, da quando è scoppiata la guerra, una donna sindaca. Come accade spesso nelle guerre le donne prendono il posto degli uomini in spazi prima preclusi e spesso sono le donne a fare lavori militari come sminare un campo minato. In Ucraina ci sono migliaia di mine e chissà quanto ci metteranno a toglierle, chi smina sono donne che con macchinari blindati vanno nei campi per togliere dal terreno quelle mine ben conficcate dai droni e che quando scoppiano, il volante del blindato lo devono tenere forte. La guerra cambia il fisico delle donne, ce lo racconta Aleksievic, nel libro ‘La guerra non ha un volto di donna’, di donne di un’altra epoca, che caricando pesi, facendo uno sforzo tale che ‘l’organismo era a tal punto cambiato dalla fatica e dallo stress che per tutta la guerra non siamo più state donne’.

E sono gli occhi delle donne che raccontano com’è l’invasione russa. Nell’oblast di Mykolaiv, nella zona che dà sul Dnipro, sul fiume che guarda la Crimea, lì tra i villaggi che erano stati occupati dai russi, i racconti sono tremendi, gli sguardi delle donne ucraine, dei villaggi che sono stati occupati, sono gli sguardi di altre donne nel mondo che vivono la guerra, delle donne ezide, delle donne kurde abusate all’ISIS. 

Non tutti vogliono fare la guerra, non tutti sono pronti ad uccidere qualcun altro, c’è anche il diritto a dire io non voglio partecipare a questa cosa, ma allo stesso tempo non c’è nessuno in Ucraina che ti dice che l’invasione è una cosa giusta e non c’è nessuno in Ucraina che non ce l’ha con Putin, non c’è nessuno in Ucraina che non ti dice che non rivoglia indietro i bambini che hanno rapito, che sono chissà quante migliaia e nei villaggi periferici le sento raccontare e tu vedi gli occhi delle madri abusate per mesi dagli occupanti russi e che sono rimasti senza i loro figli. Anche questa è una cosa di cui si parlerà poi, ma chi è che ridà indietro quei bambini e quelle persone?”

Buon ascolto e buona lettura. 

Quasi esclusivamente donne e anziani si incontrano nei villaggi ucraini

PRIMA PARTE

INIZIO 

All’inizio sono andato in Romania, in Polonia per vedere come funzionava la reazione degli europei, che si davano un gran daffare per aiutare chi fuggiva dalla guerra. La mia prima immagine dell’Ucraina è quella degli aiuti praticamente sprecati, buttati, ammassati fuori dai centri commerciali, adibiti a campi profughi provvisori. In questi luoghi arrivavano i pulmini di chi voleva aiutare. Non si sapeva neanche bene chi guidasse i pulmini su cui veniva caricato chi scappava dall’Ucraina. Venivano portati in giro per l’Europa. Ad alcuni è andata molto bene, ad alcuni bene, ad altri un po’ meno, ma di questa cosa non se ne parla, ma se ne parlerà, secondo me, in futuro. 

Mi impressionava moltissimo il fatto che nei centri commerciali invece che esporre le merci venivano esposte le persone. Sembra una forzatura, un abuso dell’immaginario però secondo me qualcosa ci dice. Le persone uscivano dall’Ucraina all’occidentale, col trolley, addirittura col cane di compagnia (molto pochi naturalmente). 

C’era anche il fatto che gli uomini che trovai in Polonia, gli uomini in età militare, avevano, in qualche modo, corrotto qualcuno per uscire pagando cifre dai 5, 6, 7 mila euro in contanti. C’era questa contrapposizione tra il racconto di un paese, di un popolo eroe, di un popolo dove tutti sono pronti a dare la vita per resistere all’invasione russa, mentre in realtà questa cosa direi che non era vera. 

Stiamo parlando dell’inizio della guerra.  

Per i primi due o tre mesi stavo in Romania e in Polonia, anche perché c’erano veramente un sacco di giornalisti in Ucraina e non c’era neanche bisogno. Dopo cinque o sei mesi ho cominciato ad andare in Ucraina dove invece i colleghi, diciamo anche i più importanti, cominciavano a non esserci più.

Chissà chi aspetta che torni, da due anni e mezzo, quel pastore tedesco adagiato sul prato di un quartiere che non esiste più, a Borodyanka

OGGI 

Oggi sono praticamente l’unico che ci va una volta al mese. Questo mi consente di fare delle cose che magari prima non avrei potuto fare e mi dà anche la possibilità di raccontare quello che vedo. Naturalmente non è la verità, però è la realtà che trovo e spesso, sono realtà contraddittorie. Ovunque c’è contraddizione, a me piace, mi interessa. Non ho mai avuto questa grande passione per tutto ciò che è sentimento patriottico, difesa di un territorio, di un confine, però l’aggressione militare ai civili per me è qualcosa di inaccettabile e quindi va raccontata. 

L’aggressione militare c’è stata e c’è ancora. E’ inutile far finta di niente.

Se stai nelle grandi città, c’è una situazione dura, difficile, però si potrebbe anche dire in qualche modo vivibile, anche se brutta dal nostro punto di vista, però dal loro punto di vista la situazione può andare. A Kiev tre anni fa la notte era veramente interessante. Quando alle 23.00 iniziava il coprifuoco i locali chiudevano le porte e continuavano a offrire divertimento. Il divertimento era alimentato dal fatto che i locali erano pieni di persone, tanti giovani, persone che arrivavano da fuori, tantissimi cooperanti, ma dopo 7, 8, 9 mesi le ONG hanno cominciato a non andare più in Ucraina. Dopo un anno praticamente non c’era più nessuno. Adesso non trovi quasi niente e quindi anche quei locali che sopravvivevano grazie a questa presenza esterna hanno dovuto chiudere i battenti perché non c’è più nessuno.

Frequentando Kiev posso raccontarvi veramente tutto e il contrario di tutto. Poco raccontato è relativo al reclutamento. 

Bisogna considerare che parliamo di una popolazione con alcuni milioni di abitanti, quindi i “giovani”, compresi tra i 18 e i 55 anni, non sono infiniti. All’inizio della guerra c’erano delle figure, come dottorandi all’università, ricercatori, medici specializzandi, personale infermieristico, docenti universitari che erano esentati dall’andare in guerra, ma oggi, il problema che le reclute sono poche è molto sentito. Quindi che cosa succede? Le reclute sono poche, bisogna trovare qualcuno da mandare a combattere. E’ nato il TCC, un organismo, tipo una polizia militare formata da persone ucraine che non sono andate a combattere. Vanno nei locali oppure in metropolitana, fermano i giovani e si fanno dare i documenti per vedere se sono arruolabili. Se sono arruolabili, se solo c’è il dubbio, vengono spediti a combattere. 

C’è stato un concerto qualche mese fa di un gruppo famosissimo ucraino. Ha fatto il primo concerto al Palasport, di fronte allo stadio di Kiev, un luogo molto grande che era chiaramente strapieno di gente, perché era il primo evento pubblico dopo due anni e otto mesi di guerra. Il TCC è arrivato, aveva le schede, i nomi delle persone che avevano acquistato i biglietti. Se li erano fatti dare, non credo con le buone maniere, dagli organizzatori del concerto. Hanno controllato chi aveva il diritto di non andare a combattere e chi no. Questa storia ha creato un gran dibattito. Non se ne parla mai di questa cosa, ma c’è  in Ucraina una discussione politica fortissima sulla guerra. C’è una parte di opposizione dentro il Parlamento che dice che quelli del TCC devono essere messi fuori legge ed in guerra ci devono andare loro.

Questa questione ovviamente non è mai raccontata, però l’episodio serve a farvi capire com’è il sentimento. 

Children’s Hospital Kiyv

Quando cammini per Kiev e incontri un ragazzo di 20 anni, quel ragazzo mediamente è ‘sbarellatissimo’, scusate il termine, ma non so che termine usare rispetto a uno che è disorientato, cammina, lo vedi che è estraniato e capisci che è uno in permesso. Capisci che è strafatto, che proprio sta male. Ho parlato con soldati di 35, 40 anni, gente esperta, con ruoli importanti, e loro mi dicevano che l’intuizione era giusta: sono ragazzi che hanno dei problemi perché la guerra non ti ridà indietro la tua giovinezza, ti cancella un sacco di cose di cui tu non faresti a meno dal punto di vista umano. 

Questa cosa dell’umanità, secondo me, viene trattata troppo poco. Magari sembrerò un po’ romantico, ma mi pare importante. 

PUTIN? NO, GRAZIE

Quando faccio questo discorso, ho un po’ di paura di essere frainteso e credo che sia successo. Provo a dirlo in maniera semplice. 

Non tutti vogliono fare la guerra. Non tutti sono pronti ad uccidere qualcun altro.

E’ importante: c’è anche il diritto a dire io non voglio partecipare. Ma non c’è nessuno in Ucraina che ti dice che è una cosa giusta. Non c’è nessuno in Ucraina che non ce l’ha con Putin. Non c’è nessuno in Ucraina che non ti dice: rivogliamo indietro i bambini che ci hanno rapito. Sono migliaia e più vado nei villaggi periferici, più me la sento raccontare. Vedi gli occhi delle madri, che mediamente sono state anche abusate per mesi dagli occupanti russi, rimaste senza i loro figli. Anche di questo si parlerà poi. Ma chi ridà indietro quei bambini e quelle persone?

Non c’è nessuno in Ucraina che ama Putin. 

Due settimane fa ho fatto un giro in tre villaggi  nell’oblast di Mykolaiv, vicino a Kherson, la zona che dà sul Dnipro,  fiume che guarda la Crimea, una zona caldissima. Lì, tra i villaggi che erano stati occupati dai russi, i racconti sono tremendi. Sono stato anche in Siria, in Irak e vi assicuro che gli sguardi delle donne ucraine dei villaggi che sono stati occupati, sono gli sguardi delle donne ezide, delle donne kurde abusate all’ISIS. Non serve neanche andare a domandare loro qualcosa. Non l’ho fatto, perché cosa devi domandare? Se è stata violentata tutti i giorni o un giorno sì, un giorno no. Io non lo faccio. 

EUROPA VISTA DALL’EST

Non ha ragione Putin e questa cosa la si percepisce andando in Moldavia, Polonia, Romania.  

Un tema che non viene mai affrontato è cos’è l’Europa? Io non ho mai sentito parlare così tanto di Europa come nell’est. 

I moldavi si sentono europei, gli scandinavi si sentono europei, i polacchi si sentono europei. Fanno discorsi europei, i rumeni. Tutti si sentono europei che siano dentro o fuori l’UE, ma è da noi che questa cosa non viene percepita. Però la maggior parte di quelli che cavalcano l’europeismo lo fanno da destra e quindi? La contraddizione qual è? Noi diciamo che è una roba fascista. Sì, ma anche no. E’ una cosa che non stiamo capendo, perché non la sappiamo intercettare. C’è la paura di finire sotto Putin, che può sembrare un discorso un po’ da bar, ma vallo a fare a Varsavia, a Cracovia, a Liiz, in Moldavia questo discorso. Sto dicendo questo non come battuta o mancanza di rispetto, ma per dare un po’ la dimensione della questione.  

Quello che contestano gli ucraini non è tanto il fatto di non accettare un’invasione, ma di essere una pedina degli altri. Loro lo sanno benissimo. In questi giorni per dire c’è Crosetto a Kiev. I trattati li faranno Trump con Putin. L’Ucraina dovrà accettare quello che decidono questi due. Ma siamo così certi che gli ucraini saranno contenti di accettare quello che gli proporranno questi? Cosa vuol dire il fatto di essere rappresentati da questi due?

Il monumento al poeta Shevchenko danneggiato dai russi a Borodyanka

OCCUPAZIONE

Ho avuto la fortuna di conoscere tre militari, tutti e tre nati nel Donbass, e loro ti dicono a tavola, bevendo vino e mangiando, che il Donbass è perso, perché il problema del Donbass non è tanto l’occupazione russa, ma la sostituzione della popolazione. 

I russi hanno mandato via la gente e ne hanno messa altra. Una pratica che i russi hanno fatto centinaia di volte. Chi ci è andato a vivere magari è pure contento e chi è andato via non ci vuole tornare, perché là non c’è più niente di ucraino. Va capita la situazione generale, quando si parla di popolazione russofona. Ci sono distinzioni che facciamo più noi che loro. Non c’è un ucraino che non parla russo. 

Inoltre dobbiamo pensare che non sempre è facile andare via dai villaggi. Per esempio se sei una donna con tre bambini dove vai da sola? Dove vai se magari non hai dei parenti che ti ospitano? Perché ti dovresti fidare del fatto che qualcuno ti aiuterà?

Case distrutte da razzi a Partyzanske

VILLAGGI 

Nella zona nord, quella di Kharkiv, quando c’è una strada dove cammini, a volte il telefono ti dà già in Russia. Ci sono dei villaggi dai quali esci e entri dal confine senza farlo, ma in realtà lo fai. Lì combattono, combattono dappertutto. Negli ultimi sei mesi sono andato sei/settevolte e ho sempre visto i bombardamenti anche in pieno centro, a Kharkiv. 

E’ nei villaggi che ci si rende conto veramente di com’è la situazione. 

Funerale Cheka Tsy bukh a Kiev

PERSONAGGI: LA SINDACA

C’è un villaggio che si chiama Partizansky, nell’oblast di Mykolaiv, dove oggi a dirigere il tutto c’è una donna. Le donne si trovano a dover amministrare situazioni che prima amministravano gli uomini. Lei è diventata il sindaco di questa città, pur non essendoci state le elezioni, perché è il boss, è brava, è una che sa organizzare, che sa fare. Ci sono delle storie incredibili. 

PERSONAGGI: OLGA 

Ho conosciuto una tipa: Olga. Ha costruito un rifugio per animali abbandonati da chi è scappato, in un luogo che è un campo minato. La prima volta che l’ho vista stava rincorrendo un cane, fischiava al cane con  l’idea che il cane sennò si ammazzava sulle mine.

Lei mi ha fatto notare quanto il tutto sia incredibile: questo luogo, che lei ha creato, è un posto in cui l’unica cosa che può succedere è che le arriva un razzo in testa o un drone le spari, però al tempo stesso è un’oasi. Se guardi fuori dalla porta, dal cancello, fuori dal muro di recinzione vedi soltanto i cartelli che ti dicono di non camminare, non oltrepassare, non attraversare per via delle mine.

Pericolo mine lungo tutta l’argine del fiume Dnipro

LE MINE

Quella delle mine è un tema da affrontare. E’ impressionante. 

Ne ho viste alcune. Non è come una volta che tu compri la mina dall’azienda x, oggi compri una mina da un’azienda che ti dà un pezzo, un’altra azienda te ne dà un altro e un’altra ancora te ne dà un altro ancora. Nessuno ti vende mine, però con tre pezzi hai comprato la mina. In realtà è sempre la stessa azienda o meglio sono tre società diverse che fanno le cose in maniera tale che sia legale anche ciò che non lo è. 

La maggior parte delle mine in Ucraina sono state depositate dai soldati  ma ci sono anche quelle rilasciate sul terreno da droni, dagli aerei, in maniera volante. Queste creano molti più problemi perché si distribuiscono in maniera che non è calcolabile. Se pensi a uno che mette le mine lungo un percorso, poi in qualche modo le puoi togliere ma se non c’è percorso il tutto è molto più complesso. 

PERSONAGGI: LE SMINATRICI

La maggior parte di chi smina in Ucraina sono donne. 

Hanno dei mezzi pazzeschi per far saltare le mine. Mezzi per per passare sopra i campi con delle blindature sopra degli ingranaggi che smuovono la terra. La botta che succede quando saltano uno o due mine, è fortissima: devi avere molta forza nelle braccia per tenere saldo il mezzo. Ogni tanto questi mezzi si cappottano e le persone, comunque quasi sempre donne, rischiano di venire gravemente ferite se non peggio. 

È un lavoraccio, ma lo devono fare per forza perché se no non riescono neanche a percorrere le strade. Le strade in Ucraina sono tutte dissestate, perché il passaggio dei cingolati ha creato un sacco di problemi, ci sono buchi dappertutto. Nell’ oblast di Mykolaiv manca l’acqua potabile ormai da due anni. In città l’acqua potabile non c’è: devi andare nei distributori a comprare l’acqua. C’è una crisi economica grandissima, le aziende non lavorano, non hanno operai perché sono in guerra, però devono pagare le tasse per sostenere la guerra. Quindi si trovano in grande difficoltà. 

PERSONAGGI: IL CAPO MILITARE GEORGIANO 

Una storia che penso sia utile raccontare è l’incontro che ho fatto con Mamuka Mamulashvili, capo della Brigata Georgiana, che è interna all’esercito ucraiano. 

Se andate a cercare su Internet vedete la sua foto da bambino. Nel 91 venne rapito dai russi e torturato per mesi. La sua vicenda è stata al centro di grosse proteste perché era il figlio di Mamulashvili, il leader antirusso che quando la Georgia fu attaccata per la prima volta difese il paese. Questo bambino oggi è un legionario. 

Se mi viene chiesto: chi è quello che hai visto più convinto della guerra fra tutti i soldati combattenti che hai incontrato in Ucraina? Rispondo un georgiano.

Intervista integrale di Ivan Grozny a Mamuka Mamulashvili in Today Mondo.