Di fronte ai giudici del proletariato ammettiamo la colpa: sì, ci stiamo relazionando con pezzi della società ucraina che stanno resistendo alla guerra. Abbiamo ricevuto diversi insulti via social per questa scelta, alcuni dei quali decisamente sessisti, “Puttanelle dei nazisti”, “Puttanelle del PD”, “Denazifichiamo Làbas”. Questo lo sfogo, la stizza e il rancore che emerge contro chi, a differenza loro, non ha già capito tutto. A farcire questi insulti ci sono le “Z” tracciate a bomboletta sui muri di notte, e fin qui siamo alla provocazione (link), ma il vero nodo politico lo esprimono alcuni articoli scritti da organizzazioni di sinistra, pronte a raccogliere facili consensi tra chi vede il mondo in maniera lineare, dogmatica, complottista, che liquidano come “rinnovata offensiva propagandistica” ogni iniziativa che si interroghi sulla resistenza in Ucraina e che metta in discussione le comfort zone degli schieramenti da un lato o dall’altro.
Che questa allora sia occasione per fare politica.
Làbas, e come noi chiunque osi uscire dal calpestato di chi si assurge a detentore della “verità comunista”, riceve la scomunica – ecco la nostra tradizione eretica che ritorna. Il vero problema è che non siamo noi a non rispondere più a quei dogmi, ma è la società ad essere cambiata, le “condizioni materiali”. Sarebbe più facile raccontare di un mondo bipolare, dove la lotta di classe si sviluppa solo dentro una singola nazione, senza migranti, con una lotta di bianchi condotta dalla classe operaia maschia. Qualcuno ancora spera che il conflitto capitale-lavoro sia così, possibile solo nelle fabbriche, tralasciando di conoscere il livello attuale di automazione, o che dalle campagne si migri in città senza passare per il digitale e anche per i confini, e che questo conflitto di 150 anni fa guiderà ogni “Popolo” della terra alla rivoluzione attraverso le tappe lineari dello sviluppo, e che l’internazionalismo si darà a quel punto tra le nazioni che hanno raggiunto il “comunismo”.
Noi oggi rifiutiamo il progresso “occidentale” per il fatto di essere estrattivo, inquinante, discriminante, razzista e colonialista, come quello della maggior parte dei regimi del mondo, e non per il solo fatto di essere americanista. Ci sembra anzi che capitalism works better without democracy, e che gli stessi USA abbiano un problema non da poco da risolvere alle prossime elezioni.
La guerra in Ucraina, che dura da 8 anni, ma che Putin ha deciso di espandere creando escalation, avviene in un mondo diverso da quello dei due blocchi contrapposti, avviene dopo due anni di pandemia, in un mondo dove si discute non del futuro dell’umanità, ma se l’umanità avrà ancora un futuro dopo il 2050, avviene – non a caso – quando per la prima volta i paesi europei hanno messo in comune il debito, varando un enorme piano di sviluppo, contraddittorio e problematico sì, ma che fino al 23 febbraio 2022 poteva ancora rappresentare un potenziale campo di conflitto avanzato per le lotte sul lavoro, sul clima, sul genere e sulla riproduzione. Ora una guerra ci è stata mossa contro, una guerra che non è altro che la “continuazione della politica con altri mezzi”, una guerra non contro l’UE, ma contro i cittadini europei e non solo, dove l’Ucraina rappresenta l’agnello sacrificale e il monito.
Il nostro non è uno schieramento cieco pro o contro l’Ucraina. Non siamo qua a difendere la sovranità di uno stato nazionale, anche se l’aggredito di solito ci muove più simpatia – do you remember Ungheria ‘56? Lo sviluppo di questa guerra ci mostra che chi gongola non sono 40 milioni di ucraini, ma Stoltenberg, di fronte ad una UE sempre più in crisi. Altro che sovranità ucraina.
Ma come dare torto agli ucraini per la richiesta di supporto, o ai finlandesi e alla Svezia per la loro richiesta di entrare nella NATO? Questo avrà conseguenze sul piano geopolitico? Certo. Sarebbe stata interessante una interposizione pacifica? Certo. Ma non possiamo additare alla società ucraina la colpa di tutto ciò che accade, non accade o sarebbe potuto accadere. Vedremo, le cose cambiano rapidamente ma se l’obbiettivo di Putin era fermare l’espansione della NATO, in soli due mesi ha ottenuto l’esatto opposto. Ben fatto Vladimirovic!
Ogni volta che si accenna al tema della sovranità europea, della difesa comune, del debito comune, del welfare comune (reddito e salario minimo europei), dell’autonomia energetica rinnovabile, ci sono nemici interni ed esterni che si muovono concretamente contro queste ipotesi.
Il vero nodo politico, dunque, è che con chi ci attacca non siamo d’accordo sull’europa. Ma la lezione risparmiatecela per favore. C’è chi agita slogan come “eurostop”, a noi questa ci è sempre sembrata una posizione che fa arretrare i percorsi di lotta. Per noi i morti nel mediterraneo e le ondate di odio interne ai paesi UE hanno sempre marciato nella stessa direzione di Putin, ed è inutile nascondere che certe posizioni hanno dato spazio a quelle tendenze rossobrune che cercano di affermarsi anche in Italia.
Le Pen, Salvini, Meloni, Orban, Afd stanno dalla stessa parte di Trump e di Putin, cioè proprio contro europa. Per noi resistergli non è mai stato “umanitarismo e buonismo” e non ha mai voluto dire accettare le condizioni esistenti del potere. La nostra lotta dai confini alle città è per qualcosa di più grande che chiamiamo europa, su cui non si retrocede.
La lotta contro il capitale la vediamo possibile solo sul terreno europeo. Dobbiamo lottare per un progetto che superi definitivamente l’UE con il suo gioco di veti incrociati, e per uno spazio politico euro-mediterraneo dove quella che il potere chiama sovranità per noi è un grande terreno di scontro per un confederalismo democratico, femminista, ecologista, per un nuovo incontro tra processi democratici, resistenze e condivisione di diritti, da sud a nord, per la repubblica europea!
E da questo punto di vista come ci poniamo il tema di difenderci dalla guerra in uno spazio tecnologico ed ecologico libero dalla NATO, per la pace, e con la possibilità di auto-difesa territoriale dalle aggressioni coloniali e da quelle armate? Domande aperte, ma anche qui il terreno minimo è l’europa. Non si può arretrare sul terreno nazionale con la corsa agli armamenti e la pace non può essere una idealità astratta in un mondo disseminato di armi atomiche – anche il disarmo globale può avvenire a partire da punti di forza globali, europa è uno di questi. Lo stesso vale per Eni e per tutte le compagnie settarie pronte a fare gli sporchi interessi nazionali. Bisogna dire che l’embargo al petrolio e al gas russo è giusto perché altrimenti il problema ecologico lo affronteremo ancora una volta superata questa crisi. Tutto questo va impedito e bisogna lottare sul terreno europeo. Anche per welfare, lavoro e reddito, la condizione minima è l’europa che si forma a partire dal rifiuto del lavoro sociale sfruttato, per il lavoro sociale liberato. Questo campo di lotte che si intersecano in europa è quello che chiamiamo matriottismo europeo.
Il punto allora è la costituente europea, post-nazionale e apertamente femminista ed ecologista. Un’occasione con cui possiamo uscire a sinistra dalla crisi, un’occasione per sconfiggere i nazionalismi interni ed esterni all’europa.
Siamo ereticə, pazzə e sognatorə. Sempre meglio che giudicare dall’alto.
Vogliamo trovare alleati in ogni angolo del continente, da Lisbona a Kiev, da Londra al Cairo, da Mosca ad Istanbul, e per farlo dobbiamo sapere non solo contro cosa, ma anche per cosa lottiamo ora che lo scontro materiale si è dato nella sua peggior brutalità.
Da settembre 2021 abbiamo avviato un percorso per muoverci da realtà organizzate nella nuova era (Oltre l’umano) e da quando è iniziata l’invasione in Ucraina non abbiamo mai smesso di interrogarci collettivamente per non cadere in facili schieramenti (Per un matriottismo europeo).
Per questi motivi abbiamo deciso di muoverci e incontrare realtà diverse, tra cui Operation Solidarity (intervista) ed altre realtà incontrate nei confini e nelle varie città dello spazio politico euro-mediterraneo.
Alcuni commentatori di sinistra affermano che Operation Solidarity o altre reti ed organizzazioni ucraine a sostegno dell’auto-organizzazione e dell’auto-difesa “popolare” sono pezzi politicamente marginali, che non sposteranno gli equilibri politici, e che, ne sono certi, finita la guerra soccomberanno ai nazisti – sembrano anzi quasi augurarselo, con macabro gusto di superiorità . Altri dicono “strana razza quella degli ‘anarchici di Zelenskij’”, usando categorie che si associano pienamente a questo senso di superiorità e annullando completamente la soggettività di chi sta subendo l’aggressione.
Saremo impuri per l’ortodossia di sinistra, ma questi sono i motivi che ci hanno spinto ad andare in Ucraina per conoscere determinate realtà ed esprimere vera solidarietà internazionale con chi è in lotta contro il fascismo, interno ed esterno. L’invasione fino a Kiev e i bombardamenti su tutto il territorio ucraino hanno mobilitato la quasi totalità della società ucraina e nella loro agenda in questo momento c’è resistere e non soccombere all’aggressore. Piaccia o non piaccia questa è la situazione, e per quanto siano marginali le realtà politiche di “sinistra”, questo è il terreno su cui sono obbligate a stare per non scomparire.
Verrà il tempo in cui discutere di prospettive senza il ricatto delle bombe, intanto iniziamo noi qui a farlo liberandoci da ambiguità. Iniziamo a combattere i nazionalismi senza delegare all’Ucraina tutto il fardello dell’umanità. L’europeismo è un’opzione se si manifesta nelle lotte reali, altrimenti è un’opinione che rimarrà schiava di servitù militari che a forza di dire né né, si troverà travolta da, da e da.
I campi, soprattutto per i movimenti sociali sono due: contro o per europa. Chi ci attacca ha già scelto, noi stiamo lavorando per la seconda opzione.
Municipi Sociali di Bologna