Un testo a cura delle compagne dei Municipi Sociali e del Laboratorio Salute Popolare di Làbas sul recente attacco del governo al diritto all’aborto.
Questi striscioni comparsi oggi a Bologna in Porta S.Vitale e Via S.Isaia denunciano l’attacco del governo nazionale alla nostra salute, al diritto all’aborto, ai consultori.
Il 16 aprile è stato votato alla Camera un disegno di legge che spalanca le porte dei consultori alle associazioni cattoliche e ai movimenti antiabortisti e antiscelta; domani questa violenza si ripeterà con un ulteriore discussione in Senato.
Oggi la Rete Nazionale Consutori e Consultorie e Non una di meno Roma saranno in presidio e conferenza stampa, di fronte al Senato, alle ore 17:00.
Oggi ricorre, ironicamente, anche la giornata mondiale della salute della donna, ma sentiamo che per poterla davvero festeggiare bisognerebbe vivere in uno stato in cui i diritti delle donne, delle persone trans* e non-binary, compreso l’accesso alle cure e soprattutto ai servizi di salute sessuale e riproduttiva, vengano rispettati e incentivati, organizzati nei territori in base alle esigenze e con i contributi della popolazione che li abita, sia a livello economico che sociale, quindi politico.
Tutto questo è minacciato e messo a repentaglio da un governo che si inserisce alla perfezione nel panorama delle destre moderne europee di conservatorismo e nuovi nazionalismi, di crescente influenza delle lobby politiche religiose, e di intenzionale violazione dei diritti, primo fra tutti il diritto all’aborto libero, sicuro e gratuito.
Lo scenario a cui assistiamo è quello di un paese che si avvicina, ormai sempre più pericolosamente, alle politiche più conservatrici, retrograde e repressive dei nazionalismi globali.
Il governo italiano ha stabilito che le Regioni possano fare uso dei fondi del PNRR, in particolare di quelli destinati alla Sanità, per “organizzare” i servizi dei consultori territoriali. Tramite questi fondi, i consultori potranno avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità.
Abbiamo raccontato in diverse occasioni di come in Italia siano sicuramente diversi i fattori che ostacolano l’accesso all’aborto, sia farmacologico che chirurgico. E di come tutto questo dipenda in gran parte dalla stessa legge 194/78, che il diritto all’aborto dovrebbe garantirlo, e dalle sue declinazioni che rendono possibile l’obiezione di coscienza (in tutta Italia il personale sanitario obiettore è in media circa il 70%, in alcuni territori si arriva anche fino al 100%!) e che insistono, prima di tutto, sulla tutela della maternità, lasciando così ampio spazio a valutazioni di giudizio morale su quella che dovrebbe essere una scelta libera, quella di fare figli o non farli.
Ed è per questo che la 194 non va solo difesa ma va anche rivoluzionata, ampliata, resa libera dal giogo politico neoliberista e patriarcale, esattamente come per il resto della sanità pubblica!
E poniamo questa provocazione sul servizio sanitario nazionale tutto, tentando di allargare la lente con cui guardiamo alle singole contraddizioni, perché dietro a tutto questo si inserisce anche una questione di natura più pratica: nel nostro Paese ci sono troppo pochi consultori familiari, ovvero circa 1 consultorio ogni 35.000 abitanti (in alcuni territori anche 1 ogni 70.000), sebbene siano diversi i provvedimenti che ne raccomandano 1 ogni 20.000 abitanti per poter rispondere efficacemente ai bisogni di salute della popolazione, e spesso, al loro interno, è perfino difficile reperire ginecologhe, personale ostetrico, psicologhe, a causa dei continui tagli al personale sanitario, oltre che alle strutture.
Nulla di diverso, dunque, rispetto a quanto accade per ospedali, centri di salute mentale, presidi di assistenza socio-sanitaria territoriale.
Quando parliamo di consultori, reparti per degenze IVG e diritto all’aborto dobbiamo quindi avere ben chiaro in mente che il contesto socio-sanitario generale in cui ci troviamo era già di per sé assai problematico, sebbene a livello mediatico non avesse ancora catturato l’attenzione collettiva di queste ultime settimane.
Occorre anche ricordarsi, rispetto al disgustoso emendamento in cantiere, che questo non costituisce il primo caso in cui si dà il via libera allo stanziamento di fondi pubblici verso le casse delle associazioni “pro-vita”. La vicenda forse più emblematica è avvenuta in Piemonte il 30 settembre 2022, quando Maurizio Marrone, assessore regionale alle Politiche Sociali (Fratelli d’Italia), ha fatto approvare una nuova misura presentata ancora una volta come manovra «in difesa della natalità». All’epoca, ben 400mila euro sono stati recapitati nelle casse delle associazioni anti-scelta, cui è stato concesso di destinare i fondi in parte alle donne in difficoltà economica che decidono di non abortire e, in parte, per sponsorizzare il fondo stesso con campagne pubblicitarie (spesso realizzatesi all’ingresso dei reparti di ginecologia).
Quindi cosa cambia con questo nuovo emendamento, rispetto al panorama che abbiamo già attorno? Nulla, se non che il governo manifesti così ancora una volta una precisa volontà politica, ovvero quella di muoversi assolutamente controcorrente rispetto alle più “virtuose” realtà come quella francese, seguita a breve anche da quella spagnola che, percependo il trend ultra-conservatore verso cui si muove l’Europa, tentano in qualche modo di tutelare la salute delle proprie cittadinə, facendo del diritto all’aborto un diritto costituzionale.
Questa intenzionalità politica si inserisce chiaramente in un progetto più ampio, in cui difatti vediamo vacillare giorno per giorno diversi altri diritti fondamentali, come quello all’abitare, all’accoglienza degna, ad un lavoro sicuro e ad un reddito adeguato, ad un’educazione libera, alla sanità pubblica, tutti fattori che contribuiscono e determinano fortemente il benessere e la salute. A questo processo di disintegrazione delle libertà di scelta, in cui le nostre vite e i nostri corpi non sono altro che merce dominata dalle logiche capitaliste neoliberiste e patriarcali, si aggiunge il rigore controllante di una delle più estreme destre al governo dal dopoguerra in poi.
Dunque vorremmo dire a questo governo che non è inserendo dei volontari cattolici antiabortisti nei consultori, presidi socio sanitari laici, che smetteremo di abortire, né tantomeno che ci sentiremo tutelate come persone che scelgono di fare dei figli.
Sono le politiche per il welfare, per la sanità pubblica, assunzioni regolari e adeguate ai bisogni della popolazione, le norme di sicurezza sui luoghi di lavoro, i prezzi calmierati per le case, l’accoglienza e l’inclusione sociale per le nostre sorelle e fratelli migranti, abbattere le rette degli asili nido, incrementare i servizi per la prima infanzia, garantire la presenza di personale sanitario non obiettore nelle strutture sanitarie, queste sono le misure, inclusive laiche e transfemministe da cui ci sentiremmo tutelate nelle nostre libere scelte.
Lo ripeteremo ancora, la garanzia di un diritto fondamentale non può e non deve essere oggetto di questioni religiose, né può essere pedina di chi porta avanti un progetto politico regressivo e reazionario.
Lo grideremo più forte, nelle strade e nelle piazze, per l’autodeterminazione dei nostri corpi, la salute (e le politiche che la governano) o è transfemminista o non è!
Ci schiereremo sempre a fianco di chi si mobilita per far restare fuori gli antiabortisti dai consultori, per permettere che questi vengano maggiormente finanziati e riacquisiscono la loro funzione originaria di luoghi sicuri liberi e laici in cui costruire insieme una salute transfemminista, che riesca a tenere conto di tutti i determinanti sociali che la promuovono.
Il diritto all’aborto non si tocca!