*Nota editoriale: in questo articolo si utilizza la forma del femminile universale per includere ogni tipo e sfumatura di genere.
Viaggiare verso l’Est Europa richiede tempo. L’aereo che abbiamo preso ieri sera ha fatto diverse ore di ritardo e siamo arrivate a Katowice in piena notte. Grandi insegne luminose illuminano le strade deserte di una città che a fatica si spoglia dalla sua decadente atmosfera sovietica. La mattina dopo ci svegliamo presto per raggiungere la nostra destinazione. Con un treno ci inoltriamo nel mezzo della campagna polacca. L’ultimo tragitto in taxi ci conduce all’interno di una sperduta riserva naturale in mezzo alle colline e ai boschi. Arriviamo alla struttura che ci ospiterà per i prossimi tre giorni, immersa nel verde e lontana diversi chilometri dal primo centro abitato. Il setting perfetto per un ritiro trans-femminista in cui trovare tempo e spazio per incontrarsi, connettersi, riconoscere la diversità e sviluppare visioni comuni.
In seguito ai nostri viaggi in Ucraina e alle relazioni costruite con alcuni gruppi femministi, siamo state invitate a prendere parte al progetto TAIGA, un programma europeo costruito da collettivi femministi, originariamente dell’est europa e dei balcani, per creare spazi di incontro, pratica e discussione su quattro punti chiave: self e community care, activism, community organization e leadership. Le partecipanti vengono da ucraina, polonia e germania – anche se il gruppo tedesco è tutto fuorché tale, incorporando la composizione mista e migrante della capitale berlinese, più una cagnetta nera di nome Lola.
TAIGA è nato prima dello scoppio della guerra. L’invasione russa, tuttavia, ha cambiato le priorità delle partecipanti *, facendo emergere l’esigenza di costruire una comune riflessione su guerra, identità e solidarietà. Il titolo del workshop a cui prendiamo parte è: “Identity, Recognition, Visibility”. Alla sessione di benvenuto, una delle facilitatrici ha affermato come la guerra non possa essere uno dei temi dell’agenda, ma qualcosa di trasversale a cui bisogna dare centralità nella discussione avendo sconvolto le vite, le pratiche e i ragionamenti di chi la sta subendo. Perciò il team ucraino condurrà le attività del workshop prestando particolare attenzione al tema dell’invasione e del genocidio e utilizzando diversi strumenti oltre alla parola, coinvolgendo il corpo, l’arte e la natura.
In una delle attività ci è stato chiesto di raccontare l’identità collettiva di ogni gruppo attraverso un collage. Si tratta di un modo di ripensare il concetto di identità di ogni gruppo durante queste giornate in cui ci si interroga anche su cosa sia e cosa possa essere l’identità nazionale. Non è stato semplice per noi, ci siamo rese conto di quanto le nostre pratiche quotidiane siano differenti: rispetto a tutti gli altri gruppi abbiamo passato molto più tempo a parlare, piuttosto che incollare e ritagliare immagini. Eppure i risultati ci hanno permesso di conoscere le altre realtà meglio di qualsiasi presentazione.
Il lavoro delle Ucraine – Feminist Workshop – è un racconto molto forte, la descrizione visiva di una situazione che riporta una storia generazionale. Dal ventre di una donna incinta, l’archetipo della madre Ucraina, fuoriesce un razzo sul quale campeggia la scritta H E R I T A G E, eredità. Sul ventre della madre degli operai della strada trivellano, mentre la polizia stradale regola il traffico: si tratta di una graduale escalation delle politiche misogine che regolano i corpi femminili e la riproduzione sociale. Sullo sfondo, un gruppo di spettatori osserva, come si trattasse di un film, con indosso degli occhiali 3D: rappresentano lo sguardo distaccato, ma carico di giudizio, del pubblico occidentale. Infine, dal razzo esplode una fiamma rosa ad indicare la spinta delle nuove generazioni e delle lotte femministe che vogliono imprimere un cambiamento, nonostante la pesantezza di un eredità storica che limita la loro libertà.
Il collage del gruppo polacco – Common Thing Fundation – somiglia più ad una mappa concettuale che indica le diverse attività di cui si occupano. Il focus principale è la lotta al cambiamento climatico. Emerge l’importanza di creare relazione con altre realtà organizzate, ma anche con le persone, bussando soprattutto alle porte di coloro che abitano in aree rurali e che spesso hanno una coscienza politica molto diversa dalla loro. Il tempo a disposizione, rappresentato dagli orologi nel collage, è troppo poco, e la partita politica è difficile. Ma al centro troneggia la parola “se” : e se provassimo a piantare un seme, a vivere in maniera ecologica, a portare avanti la lotta trans-femminista, a costruire l’alternativa?
La creazione del gruppo tedesco – new visions – è un’esplosione di colori, frasi, immagini. Una creatura ibrida che tiene insieme le diverse prospettive frammentate, per questo portate a legarsi tra loro. Da questi legami emerge il caos come strumento per confondere il patriarcato e l’importanza, nel momento in cui si è insieme, di essere nude da maschere, di avere un’identità mai del tutto definita, di creare legami trans-specie e del difendere la diversità.
Nel nostro collage, troneggia al centro l’immagine del piazzale Irma Bandiera, lo spazio liberato come elemento centrale in cui sviluppare la nostra identità e pratica collettiva. L’identità di compagne, militanti, heval è quella che ci accomuna tutte. Poi emergono le altre identità che spesso si contrappongono a quella collettiva, ma provano a trovare uno spazio in essa. Mentre eravamo intorno al tavolo a parlare e colorare, ritagliare, incollare i pezzi delle nostre identità, ci siamo rese conto di quanto poco conoscessimo reciprocamente alcune parti delle nostre vite e di quanto bene ci facesse avere il tempo insieme per scoprirci e conoscere quegli aspetti personali che ci rendono le persone che siamo. In qualche modo oggi abbiamo fatto un viaggio all’indietro, per riscoprire quell’identità singola che più o meno facilmente trova spazio in quella collettiva, per arricchirla e sviluppare prospettive per l’agire.