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ABORTO LIBERO, SICURO, GRATUITO

RIFLESSIONE DELLE ATTIVISTE DEI MUNICIPI SOCIALI DEL LABORATORIO DI SALUTE POPOLARE.​

Nella giornata nazionale per l’accesso per l’aborto libero e sicuro, sentiamo la necessità di schierarci apertamente dalla parte di tutte quelle persone con capacità gestante che faticano ad accedere ad un servizio sanitario essenziale come l’aborto in questo paese. Oggi questo dato è tangibile più che mai, date le tendenze anti progressiste e repressive della destra che si trova al governo in questo momento. 

 

Parliamo di un governo che, come stiamo avendo modo di toccare con mano anche in queste ultime settimane, si posiziona dalla parte esattamente opposta alla nostra: un governo che sceglie la repressione, sceglie la violenza, sceglie l’emarginazione e l’abbandono di tutte le soggettività più vulnerabili. Un governo che colpevolizza, punta il dito e cerca un capro espiatorio alle proprie mancanze, alimentando la retorica dell’odio mentre costruisce la propria fortezza a tutto ciò che considera diverso, poco produttivo, seppur mercificabile. 

 

In questi anni di lavoro e di indagine dal basso nel Laboratorio Salute Popolare a Làbas, e negli altri progetti, tutti strettamente correlati, abbiamo potuto constatare come questo approccio si rifletta fortemente anche nel sistema di accesso alle cure, un sistema escludente per moltə, ipermedicalizzante e patologizzante, in cui si avverte forte l’assenza di un supporto globale alla persona. Per questi motivi, abbiamo deciso di intraprendere, parallelamente ai percorsi di salute già attivi, un percorso di cura e supporto della salute sessuo-affettiva e riproduttiva, attraverso l’apertura settimanale di uno sportello di ascolto ginecologico preso gli spazi di Làbas. 

 

Abbiamo immaginato questo spazio come uno spazio che utilizzi la lente della cura transfemminista, dell’ascolto, dell’accoglienza e del sostegno orizzontale, in cui la persona venga messa al centro del suo percorso di cura, per restituirle prima di tutto la capacità di autodeterminarsi, soprattutto nelle scelte che riguardano il proprio corpo. 

 

È di qualche giorno fa la pubblicazione del report redatto da Medici del Mondo Italia, sull’accesso all’aborto farmacologico e sulle difficoltà e i ritardi che lo caratterizzano: nonostante in italia l’aborto sia garantito (almeno in teoria e in maniera piuttosto parziale) dalla legge 194 del 1978, tutte noi sappiamo che troppo spesso nella pratica, l’accesso a questo percorso si trasforma in una corsa ad ostacoli e contro il tempo.

Il report (https://medicidelmondo.it/the-impossible-pill-laborto-farmacologico-in-italia)  mette in luce uno scenario ancora tristemente attuale nel 2023: disuguaglianze nell’accesso alle pratiche abortive, soprattutto a quella farmacologica, dal nord al sud del paese; stigmatizzazione, non solo nei confronti della persona gestante che lo richiede ma anche nei confronti della stessa pillola abortiva, ritenuta ancora oggi, in maniera del tutto illogica, pericolosa, nonostante l’autorizzazione al suo utilizzo da parte dell’OMS risalga a 20 anni fa.

 

Se poi andiamo a confrontarci con il piano europeo continuiamo a rimanere fortemente indietro rispetto alle politiche educative e socio-sanitarie messe in campo da vari paesi sulla salute sessuo-affettiva e riproduttiva. 

Nel contesto di un’europa che guarda all’avanzamento tecnologico, con un PNRR che prevede e stanzia fondi per l’applicazione della telemedicina, non siamo ancora in grado di garantire la praticabilità extraospedaliera dell’aborto farmacologico. Ma ancora una volta, siamo troppo indietro: basti pensare che in Italia nel 2020 solo il 30% di tutti gli aborti praticati è stato di tipo farmacologico (e di questi tutti si sono svolti in regime ospedaliero); in Francia arriviamo al 70% e nel Nord Europa oltre il 90% e sono previste le ormai note modalità di somministrazione “at home”. In Emilia Romagna solo dal giugno di quest’anno la RU viene somministrata anche in alcuni consultori selezionati.

E tutto questo accade non perchè non esistano dati scientifici che supportino la totale sicurezza della RU486 o della sua somministrazione al di fuori di un ospedale e di un ricovero, ma perchè subiamo l’influenza ed il retaggio cattolico e le politiche conservatrici della ministra Roccella e del governo che rappresenta,  avendo raccolto comunque quello che il governo precedente aveva lasciato, ovvero niente di innovativo su questo piano, o quanto meno al passo coi tempi.

 

Le disuguaglianze nell’accesso alle cure riflettono ed amplificano le disuguaglianze sociali e di genere, ed è per questo che lottare per la loro abolizione significa anche lottare per i diritti umani, per il diritto all’autodeterminazione e ad una vita degna.

 

Non vogliamo più sentir parlare di donna come strumento per la procreazione né di famiglia tradizionale; non vogliamo più credere a quanto sia difficile essere una sorella migrante con necessità di accesso alle cure e costretta a subire più di una violenza nel tentativo di accedere ad una pratica abortiva; vogliamo un’educazione  alla sessualità all’affettività e alla riproduttività che sia libera dal patriarcato e da tutti gli stigma con cui questo ci costringe a convivere!